Adelina è il titolo del
mio racconto breve, arrivato finalista alla IX Edizione del Premio Letterario Il Poeta e il Narratore, 2016.
Ve
lo propongo, ricordandovi che potete trovarlo nell’antologia del Premio.
Buona
lettura!
PS:
un applauso a chi capirà dove è ambientato… facile, no?
Adelina
Ero
appena stato trasferito dalla città e me n’ero subito innamorato, non appena
l’avevo incontrata la prima volta. Una mattina di tarda primavera, col cielo
terso e i raggi del sole che si facevano sempre più arditi, nella piazza
affollata degli odori e colori del mercato del sabato.
Mi
ero avvicinato, con noncuranza, mentre mi spostavo da una bancarella all’altra,
adocchiando qualcosa da mettere insieme per il pranzo e, subito, l’odore della
sua pelle dorata mi aveva stregato. L’avevo seguita cercando di non farmi
troppo notare, finché non ci eravamo quasi scontrati in un vicolo stretto che
sapeva di mare e spezie.
Non
c’erano state parole tra di noi, solo sguardi, come un naufrago che scruta l’orizzonte sperando di trovarvi qualche indizio della
terraferma. E lei era lì davanti a me; la mia isola incontaminata e rigogliosa,
dove avrei potuto finalmente riposare. Furono carezze furtive, ma dolci e piene
di promesse, e quella sera stessa l’andai a cercare come mi aveva chiesto.
Adelina,
diceva la targa in ceramica accanto alla porta di legno odoroso, in fondo a
quel budello scuro, dove il sole faceva fatica ad asciugare i panni stesi tra
case variopinte come tramonti salmastri, e con le finestre così vicine che ci
si poteva scambiare cibo, baci e imprecazioni senza neppure dover scendere per
strada.
Bussai
e mi aprì. Labbra vermiglie, lunghi ricci arruffati da brezze maliziose, e un
abito nero con una fila di bottoni di madreperla che non riuscivano a contenere
una bellezza ribelle ed esplosiva.
Scendiamo fino in piazzetta?
mi chiese, mentre i suoi fianchi ipnotizzavano i miei pensieri. Non mi
importava chi fosse o cosa facesse per vivere, anche se ben presto compresi che
non era possibile dimenticare il passato, o sperare in un futuro
diverso, in quel buco di paese schiacciato tra il mugghiare del mare e il rombo
sordo della montagna.
Hai visto l’Adelina? Gran bel pezzo
di figliola! Dicono che abbia pagato l’affitto arretrato a Compare Giustino in
una botta sola… Eh sì! Quando il soldo manca, la natura compensa! Ah, se solo
avessi vent’anni di meno, glielo darei io un buon mese d’affitto…
commentavano i pochi pensionati sulle sedie di paglia fuori dal Bar dello
Sport. Grani consumati di un rosario profano che raccontava fatiche e bestemmie
di vite trascorse tra le onde, e ora tirate in secca come le barche capovolte
sui lati della piazzetta.
Ma hai visto che sfacciata? Come
chi? L’Adelina! Ma la vedi come se ne va in giro? Scollacciata e con quelle
gonne così corte che poco manca… Non farmi dire altro, che sennò passo sempre
per malalingua! spettegolavano le comari, più per
invidia che non per castità cristiana.
Quando
la riaccompagnai a casa mi fissò con i suoi occhi grandi e profondi, come gli
abissi di quel mare senza tempo. Mi prese per mano e mi portò dentro il suo
letto, dove la notte profumata di basilico tramutò i nostri bisbigli rochi in
gemiti infiniti, tra lenzuola umide di desiderio.
La
lasciai che il biancore dell’alba disegnava il profilo ancora incerto
dell’orizzonte. Una banconota sgualcita sul legno scuro del comodino come
commiato. Era ancora troppo presto per dimenticare tutto in fondo a un
bicchiere, e troppo tardi per pentirsi di una vita perduta.
Mi
incamminai verso l’unico porto, dove speravo avrei trovato riparo dai rimorsi
che mi straziavano l’anima, dall’eccitazione che non voleva abbandonare le mie
membra, e dall’inquietudine che mi avvelenava la mente. Mi abbandonai stremato
su una panca vuota della chiesa con le alte volte a fasce bianche e nere, dove
riecheggiava il frangersi dei flutti irrequieti. Fissai il volto dolente del
crocefisso e caddi in un sonno senza più suoni.
Quando
mi risvegliai, la luce del giorno accendeva di mille colori le vetrate
istoriate dell’abside. Una donna col velo nero era inginocchiata nella panca.
Padre
nostro, rimetti a noi i nostri debiti e non ci indurre in tentazione, ma
liberaci dai nostri mali sussurrò, mentre mi accostavo al
confessionale.
Sempre piacevole rileggerlo;-) Non sveliamo l'arcano, dove sia il palcoscenico di questa storia:-)
RispondiEliminaBrava, come sempre!
Finale meritata.
Grazie mille, Stefania! :-) Ma sì, diciamo solo che è un posto bellissimo e vale la pena di andarci almeno una volta nella vita ;-)
EliminaLo conoscevo già. Molto bello e così ben descritto che quasi sento il frangersi delle onde e l'odore salmastra nell'aria. Sempre brava Daniela
RispondiEliminaGrazie, Dani! Mi fa molto piacere che ti sia arrivata l'atmosfera di questo racconto. Un saluto anche da Adelina :-)
EliminaEh Adelina Adelina ma lui??? Bella storia e bel paese.
RispondiEliminaEh, Maria Rita, lui è un birichino ;-) Grazie!!!
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