mercoledì 16 novembre 2016

Dani# 4 Adelina



            Adelina è il titolo del mio racconto breve, arrivato finalista alla IX Edizione del Premio Letterario Il Poeta e il Narratore, 2016.

           Ve lo propongo, ricordandovi che potete trovarlo nell’antologia del Premio.

           Buona lettura!

PS: un applauso a chi capirà dove è ambientato… facile, no?


Adelina

Ero appena stato trasferito dalla città e me n’ero subito innamorato, non appena l’avevo incontrata la prima volta. Una mattina di tarda primavera, col cielo terso e i raggi del sole che si facevano sempre più arditi, nella piazza affollata degli odori e colori del mercato del sabato.

Mi ero avvicinato, con noncuranza, mentre mi spostavo da una bancarella all’altra, adocchiando qualcosa da mettere insieme per il pranzo e, subito, l’odore della sua pelle dorata mi aveva stregato. L’avevo seguita cercando di non farmi troppo notare, finché non ci eravamo quasi scontrati in un vicolo stretto che sapeva di mare e spezie.

Non c’erano state parole tra di noi, solo sguardi, come un naufrago che scruta l’orizzonte  sperando di trovarvi qualche indizio della terraferma. E lei era lì davanti a me; la mia isola incontaminata e rigogliosa, dove avrei potuto finalmente riposare. Furono carezze furtive, ma dolci e piene di promesse, e quella sera stessa l’andai a cercare come mi aveva chiesto.

Adelina, diceva la targa in ceramica accanto alla porta di legno odoroso, in fondo a quel budello scuro, dove il sole faceva fatica ad asciugare i panni stesi tra case variopinte come tramonti salmastri, e con le finestre così vicine che ci si poteva scambiare cibo, baci e imprecazioni senza neppure dover scendere per strada.   

Bussai e mi aprì. Labbra vermiglie, lunghi ricci arruffati da brezze maliziose, e un abito nero con una fila di bottoni di madreperla che non riuscivano a contenere una bellezza ribelle ed esplosiva.

Scendiamo fino in piazzetta? mi chiese, mentre i suoi fianchi ipnotizzavano i miei pensieri. Non mi importava chi fosse o cosa facesse per vivere, anche se ben presto compresi che non era possibile dimenticare il passato, o sperare in un futuro diverso, in quel buco di paese schiacciato tra il mugghiare del mare e il rombo sordo della montagna.

Hai visto l’Adelina? Gran bel pezzo di figliola! Dicono che abbia pagato l’affitto arretrato a Compare Giustino in una botta sola… Eh sì! Quando il soldo manca, la natura compensa! Ah, se solo avessi vent’anni di meno, glielo darei io un buon mese d’affitto… commentavano i pochi pensionati sulle sedie di paglia fuori dal Bar dello Sport. Grani consumati di un rosario profano che raccontava fatiche e bestemmie di vite trascorse tra le onde, e ora tirate in secca come le barche capovolte sui lati della piazzetta.

Ma hai visto che sfacciata? Come chi? L’Adelina! Ma la vedi come se ne va in giro? Scollacciata e con quelle gonne così corte che poco manca… Non farmi dire altro, che sennò passo sempre per malalingua! spettegolavano le comari, più per invidia che non per castità cristiana.

Quando la riaccompagnai a casa mi fissò con i suoi occhi grandi e profondi, come gli abissi di quel mare senza tempo. Mi prese per mano e mi portò dentro il suo letto, dove la notte profumata di basilico tramutò i nostri bisbigli rochi in gemiti infiniti, tra lenzuola umide di desiderio.

La lasciai che il biancore dell’alba disegnava il profilo ancora incerto dell’orizzonte. Una banconota sgualcita sul legno scuro del comodino come commiato. Era ancora troppo presto per dimenticare tutto in fondo a un bicchiere, e troppo tardi per pentirsi di una vita perduta.

Mi incamminai verso l’unico porto, dove speravo avrei trovato riparo dai rimorsi che mi straziavano l’anima, dall’eccitazione che non voleva abbandonare le mie membra, e dall’inquietudine che mi avvelenava la mente. Mi abbandonai stremato su una panca vuota della chiesa con le alte volte a fasce bianche e nere, dove riecheggiava il frangersi dei flutti irrequieti. Fissai il volto dolente del crocefisso e caddi in un sonno senza più suoni.

Quando mi risvegliai, la luce del giorno accendeva di mille colori le vetrate istoriate dell’abside. Una donna col velo nero era inginocchiata nella panca.
Padre nostro, rimetti a noi i nostri debiti e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dai nostri mali sussurrò, mentre mi accostavo al confessionale.


















       I suoi occhi grandi e profondi mi seguirono, mentre mi sistemavo la stola viola intorno al collo.






6 commenti:

  1. Sempre piacevole rileggerlo;-) Non sveliamo l'arcano, dove sia il palcoscenico di questa storia:-)
    Brava, come sempre!
    Finale meritata.

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    1. Grazie mille, Stefania! :-) Ma sì, diciamo solo che è un posto bellissimo e vale la pena di andarci almeno una volta nella vita ;-)

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  2. Lo conoscevo già. Molto bello e così ben descritto che quasi sento il frangersi delle onde e l'odore salmastra nell'aria. Sempre brava Daniela

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    1. Grazie, Dani! Mi fa molto piacere che ti sia arrivata l'atmosfera di questo racconto. Un saluto anche da Adelina :-)

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  3. Eh Adelina Adelina ma lui??? Bella storia e bel paese.

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  4. Eh, Maria Rita, lui è un birichino ;-) Grazie!!!

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