domenica 8 aprile 2018

Recensioni & Co #23: Stoner

Stoner
di John Williams 

Se volessi per praticità condensare la trama di questo romano in una frase potrei azzardarne un paio: storia di un fallimento o la vita di un fallito.

La vita è quella di William Stoner, ragazzo di campagna nato a Booneville che diventa studente, prima di agraria e poi di letteratura inglese, all'università di Columbia, dove trascorrerà tutta la vita come docente fino alla pensione.

Sullo sfondo il fragore delle due guerre mondiali che arrivano a turbare il silenzioso e sempre uguale scorrere dei giorni dentro le mura secolari della Jesse Hall, lasciando una scia di morte e dolore.

Ma Stoner è molto di più.

E' la scoperta, sconvolgente nella sua semplicità, che la vita, quella di ognuno di noi, nasconde molto di più di quello che noi stessi riusciamo a vedere, capire e confessare.

Non sono la mediocrità, l'apparente apatia, la totale remissività e sottomissione di Stoner, sia nella vita privata che in quella professionale, a fare di lui un personaggio straordinario. No, la sua grandezza è proprio là, dove noi lettori cogliamo invece la sua profonda inadeguatezza e la sua desolante infelicità come insegnante, marito, e padre. 

E' la grandezza dei perdenti agli occhi del mondo, di coloro che non saranno ricordati per aver compiuto gesta strabilianti, di tutti quelli che non trovano conforto né pace nemmeno tra le mura domestiche.

Stoner è un uomo "contratto", chiuso in se stesso, incapace di trasmettere la sua passione per la letteratura medievale inglese ai suoi studenti, così come di scegliersi e gestire una moglie sessualmente e psicologicamente problematica, e di farsi amare dalla figlia, l'unica che, per un certo periodo, gli esprime empatia, standogli accanto nello studio dove lavora.

Una vita segnata dalle rinunce, anche di quel fragile amore clandestino che Stoner incontra per la prima volta a quarant'anni con una sua allieva: passione carnale ed intellettuale alla quale finirà per rinunciare sotto la pressione dei vecchi rancori di un collega cattedratico, e della necessità di salvare le apparenze di un matrimonio fatto di indifferenza e sopportazione.

Perché allora si arriva al termine di questo romanzo con la sensazione di aver scoperto qualcosa della nostra vita?

Perché il modo in cui Stoner osserva, per gran parte della vita, la sua esistenza è lo stesso con cui noi guardiamo la nostra: dall'esterno, giudicandola con il metro del mondo.

E allora la domanda è una sola: cosa ti aspettavi?

Ma nel momento stesso in cui, con la sua prosa pacata, lenta ma inesorabile e folgorante come le verità più profonde e semplici, Williams dipinge - non saprei trovare un verbo più appropriato - la fine di Stoner, ecco, lì l'uomo-fallito si riscatta ed entra in contatto con la sua essenza, diventa cosciente del suo vero essere.

Non importa chi siamo stati e perché, importa solo ciò che abbiamo vissuto.

"Bill, se non avremo nient'altro, avremo avuto questa settimana. E' un pensiero molto infantile?"
"Non importa se è infantile o no", disse Stoner. Poi annuì: "E' vero".

 Una piccola parte di noi resterà, nonostante la vita: è questa la magia meravigliosa di un romanzo che non è solo un libro o la storia di un fallito.

E tuttavia sapeva che una piccola parte di lui, che non poteva ignorare, era lì, e vi sarebbe rimasta.

Un romanzo imperdibile.