mercoledì 30 novembre 2016

Recensioni & Co. # 4: Sonno


Sonno
Haruki Murakami

Quand’era stata l’ultima volta che avevo davvero letto un libro? E di che si trattava? 
Provai a pensarci, ma era fatica sprecata, non mi ricordavo il titolo. Mi chiesi perché la vita di una persona dovesse subire un cambiamento tanto radicale. 
Dov’era finita quella ragazza che leggeva come un’invasata? Quel tempo, e quella passione tanto forte da potersi quasi considerare anormale, cos’erano ormai per me?

Sonno è un racconto di Haruki Murakami reso ancora più ipnotico dalle illustrazioni in bianco, argento e nero di Kat Menschik. Una trama, apparentemente, semplice che nasconde la profondità inaspettata e terrificante del mito.

Una donna trentenne, sposata con un dentista e madre di un figlio in età scolare, improvvisamente è colpita da insonnia. Un episodio inspiegabile, non legato a problemi di lavoro o di famiglia, che le era già capitato quando studiava all’università. Una specie di paralisi notturna provocata da un incubo e seguita da notti completamente insonni. Solo che questa volta l’insonnia si protrae per ben diciassette notti.

Per cercare di colmare le lunghe ore vuote, il silenzio e il buio al quale i suoi occhi si sono abituati, la donna riprende a leggere Anna Karenina e, a mano a mano che si addentra nel romanzo, si accorge che tutto sta cambiando. Intorno e dentro di lei.

Il romanzo non è più lo stesso di quando lo aveva letto molti anni prima; adesso le appaiono nuovi significati, i personaggi si presentano con tratti diversi e la storia le si svela con aspetti che non ricordava, che non aveva mai neppure intuito.

La lettura diventa così l’unico mondo reale, dove la donna riesce a essere se stessa; l’altro, il mondo della quotidianità e degli affetti, è ormai ridotto al ripetersi meccanico e senza emozione di gesti automatici compiuti in un cosciente dormiveglia. Il suo corpo prepara la cena per il marito, nuota in piscina, dà la merenda al figlio, ma la mente è altrove; in un limbo indefinito dove la coscienza è sempre vigile e allerta, e non attende altro che il momento in cui potrà vivere dentro la lettura.

Questa trasformazione, in cui la donna si troverà, contro ogni logica fisiologica, a non provare stanchezza, ma anzi a sentirsi piena di energia e a vedersi più bella, quasi ringiovanita, ha inizio con un incubo nel quale un vecchio vestito di nero le versa dell’acqua sui piedi. E la brocca non si svuota mai.

In questa figura, muta e mitologica, mi piace vedere una sorta di demone che purifica con l’acqua i mortali che si apprestano a varcare la soglia dell’esistenza corporea, e a calarsi nella profondità della vera realtà.

In questa discesa agli Inferi del Sé attraverso la lettura -sì, perché leggere è la chiave di accesso a questo mondo nascosto, ma più reale della vita fisica - la donna diventa anch’essa un demone. Non un demone della tradizione cristiana legato alla colpa e al peccato, quanto piuttosto una figura a metà strada tra l’umano e il divino. La donna perde infatti, a poco a poco, i suoi tratti umani; si rende conto della bruttezza del marito, riconosce il disprezzo che proverà un giorno per il figlio, e, in ultimo, nasconderà la sua femminilità sotto abiti maschili.

Diventerà così una creatura della notte, del buio che ormai è dentro di lei, consapevole di non poter più tornare a quell’esistenza tranquilla e banale che aveva condotto. La discesa è finita, così come si è conclusa la lettura di Anna Karenina, e per entrambe è arrivato il punto di non ritorno
Nessuna di loro potrà accettare una vita qualunque, tutte e due sceglieranno, deliberatamente, un destino diverso.


Un finale aperto quello di Murakami, un finale onirico e visionario come i disegni che accompagnano il percorso della sua protagonista. L’unico finale possibile per un racconto possente che ci mette di fronte alle paure primordiali dell’uomo, e ai dubbi più oscuri della nostra esistenza.

lunedì 28 novembre 2016

Dani # 5: Il ciuchino di Babbo Natale


Natale si avvicina e anch’io ho pensato a un piccolo regalo per i miei lettori; è la mia favola Il ciuchino di Babbo Natale.
Spero che vi piacerà, soprattutto se la leggerete insieme ai vostri bimbi e ai vostri cari, tornando con la mente alle Vigilie della vostra infanzia.
Con me ha funzionato!

Il ciuchino di Babbo Natale


Babbo Natale si rigirò tra le mani la lettera che Elwod, il più anziano degli Elfi, gli aveva consegnato quella mattina. L’aveva già letta decine di volte e ancora non riusciva a crederci. Il direttore dell’Ufficio del Lavoro del Polo Nord gli comunicava che dal giorno seguente, raggiunto il limite massimo di anzianità lavorativa, avrebbe dovuto considerarsi in pensione.

Lui, Babbo Natale! Lui che aveva diligentemente consegnato milioni di regali a tutti i bambini del mondo da quando… da quando non se lo ricordava più nemmeno lui, ma doveva essere di certo un sacco di tempo visto che se lo era perfino dimenticato.

«Per mille fiocchi di neve!» Esclamò tirandosi la lunga barba bianca e dandosi una grattatina sotto al berretto rosso che gli pendeva da un lato. Continuò a leggere: il funzionario, dopo averlo frettolosamente ringraziato per tutti i lunghi anni di onorato servizio, lo informava che il suo sostituto, il nuovo Babbo Natale in carica, sarebbe arrivato l’indomani a mezzanotte.

«Per mille renne dell’artico!» Borbottò e – credetemi! – quando Babbo Natale diceva così era davvero arrabbiato. L’indomani sarebbe stata la Vigilia di Natale; il suo ultimo giorno di servizio e la sua ultima consegna di doni ai bambini. Lanciò un’occhiata agli Elfi che, nel grande laboratorio a forma di abete, correvano instancabili da un banco all’altro a confezionare i doni per i bambini che erano stati buoni durante l’anno, e che li avrebbero trovati sotto ai loro alberi la mattina di Natale.

C’erano migliaia di pacchetti, rossi, verdi, gialli e blu, sparsi per tutto il laboratorio e, una volta infiocchettati, gli Elfi li mettevano dentro un’enorme cesta. Una cesta così enorme che non si riempiva
mai: la cesta di Babbo Natale. Pensò che, tra qualche ora, tutto quel trambusto sarebbe cessato, e lui avrebbe riposto il vestito rosso fiammante ancora nuovo – lo aveva solo fatto allargare un pochino in vita dove gli tirava sulla pancia – in naftalina. Già si immaginava le sue future giornate da pensionato: sarebbe andato a pescare salmoni con gli orsi bianchi e avrebbe giocato a palle di neve coi trichechi. Fece appena in tempo ad asciugare una lacrima che gli tremava tra le ciglia, quando Elwod entrò trafelato nel suo ufficio.

            «Babbo Natale, ho una brutta notizia! Vischio non ce l’ha fatta e si è addormentato sotto i rami del grande Pino Bianco!» Gli comunicò con voce tremante. Dovete sapere che quando le renne diventano molto vecchie vanno a sdraiarsi sotto un grande pino bianco che cresce solo al Polo Nord, e lì si addormentano felici per sempre.

            «Ci mancava solo questa!» Pensò Babbo Natale. Vischio era la sua renna più anziana e la più esperta; quella che stava davanti a tutte le altre e le guidava per far volare la sua slitta carica di doni. Con Vischio non aveva mai fatto un incidente – era proprio una brava renna! – e solo lei sapeva come far scivolare dolcemente la slitta nel cielo come se stesse correndo sulla neve fresca. E adesso cosa avrebbe fatto senza di lei? Un’altra tirata di barba e una grattatina sotto al berretto e, finalmente, l’idea arrivò.

            «Sbrigati, Elwod! Mettiti subito in viaggio verso il villaggio più vicino e trova una renna giovane e forte per questa notte. Va’, corri più in fretta che puoi, perché mancano poche ore alla consegna dei doni!» Elwod si infilò il berretto magico coi sonagli e si mise a correre tra boschi e montagne piene di neve. Il villaggio più vicino distava molti chilometri, ma con il berretto magico in testa Elwod li percorse in un battibaleno e, dopo dieci minuti, era già nella piazza del villaggio, dove quel giorno c’era il mercato del bestiame.


            Elwod gironzolò un po’ alla ricerca della renna che gli aveva chiesto Babbo Natale, ma sembrava che tutte le renne giovani e forti fossero già state vendute. Alla fine si avvicinò a un ragazzino vestito di cenci che teneva alla corda un ciuchino bigio; il ragazzino tremava dal freddo e dalla fame, e il ciuchino se ne stava tranquillo con le orecchie abbassate. 

            Fu così che Elwod – degli Elfi si può dire tutto, ma non che non abbiano un gran cuore – diede tre monete d’oro al ragazzino, e tornò da Babbo Natale col ciuchino bigio che lo seguiva ragliando allegro.

            «Per mille pupazzi di neve!» Esclamò Babbo Natale al vederli arrivare, e, questa volta, era davvero sorpreso. Ma che strana renna era mai quella? Si domandò tirandosi la barba e grattandosi la testa contemporaneamente. Se la vista non lo tradiva, anche se ultimamente le lenti dei suoi occhiali erano diventate sempre più spesse, quello era un asino. Ma sì, un quadrupede dal pelo bigio e con le orecchie lunghe come… come un asino, appunto! Babbo Natale guardò Elwod e poi l’asino, l’asino e poi di nuovo Elwod ed ebbe un’idea. Quella notte la sua slitta avrebbe volato sopra ai tetti delle case come ogni anno.

            Don, don, don. Gli orologi stavano battendo la mezzanotte e la consegna dei doni non era ancora terminata. La slitta aveva sfrecciato a gran velocità nel cielo grazie a un bel ciuchino bigio che, orgoglioso delle grandi corna posticce legate alle orecchie, aveva guidato e incitato le compagne senza un attimo di riposo. Mancava solo un ultimo villaggio da visitare, un ultimo dono da consegnare e poi tutto sarebbe finito. Babbo Natale abbassò le redini e la slitta atterrò dolcemente vicino a una capanna di legno e paglia. 

            Babbo Natale scese dalla slitta e si mise sotto braccio l’ultimo pacchetto. Era davvero una povera capanna quella; non c’era nemmeno il camino, ma dalla porta spalancata veniva un gran luce che illuminava la notte tutt’intorno. Quando entrò rimase a bocca aperta.
            Un bambino appena nato giaceva in una mangiatoia; i mantelli di lana ruvida della madre e del padre gli facevano da coperta, mentre il fiato di un bue lo scaldava dal gelo della notte. Babbo Natale si avvicinò e, quando vide il sorriso del bambino, il pacchettino che teneva tra le mani gli sembrò piccolo e inutile. Stava per nasconderlo dietro la schiena quando il bambino indicò con la mano il ciuchino, e sorrise di nuovo a Babbo Natale. Il ciuchino si scrollò via le corna da renna con un raglio allegro, e si stese accanto al bue a scaldare col suo fiato il bambino nato la notte di Natale.

            Quando Babbo Natale ripartì la sua slitta aveva una renna in meno, ma era così leggera e veloce che superò perfino una stella cometa. Da quel giorno non sarebbe più stato Babbo Natale, ma la gioia che aveva nel cuore l’avrebbe conservata per sempre. Tese l’orecchio e gli sembrò di sentire il raglio di un ciuchino. Si tirò la barba, diede una grattatina sotto al berretto e sorrise; quello era stato il più bel regalo di Natale.
           
Creato: 26/10/2016
Pubblicato: 28/11/2016
                       Titolare del Copyright: Daniela Quadri


Buon Natale !

martedì 22 novembre 2016

Pagina # 8: Shakespeare & Co.


Shakespeare & Co.
Le librerie più belle del mondo

Al 37 di Rue de la Bûcherie, vicino a Place St. Michel sulla Rive Gauche della Senna, c’è una delle librerie più belle e famose del mondo: Shakespeare & Co.  La libreria originale fu aperta a Parigi nel 1919 da Sylvia Beach, un’emigrata statunitense, e negli anni venti divenne luogo di incontro per scrittori come Ezra Pound, Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald,  Gertrude Stein, George Antheil, Man Ray, James Joyce e Ford Madox Ford.

Chiusa nel dicembre 1941 durante l'occupazione nazista, non venne più riaperta. Ma nel 1951 George Whitman aprì un'altra libreria che, come l'originale Shakespeare and Company, diventò il centro della vita culturale e letteraria parigina. Alla morte di Sylvia Beach il nome della libreria venne cambiato, in suo onore, in Shakespeare and Company.

L’attuale Shakespeare & Co. è gestita dalla figlia di Whitman ed è molto più di una libreria; qui si vendono libri, anche in edizioni rare e introvabili, ma si offrono anche posti da dormire, ricavati dai divani all’interno, ad artisti e scrittori squattrinati in cambio di alcune ore di lavoro a sistemare i libri fra gli scaffali. Ci sono poi eventi tradizionali come il Sunday tea: incontri con gli scrittori e letture di poesie.

Grazie al mio fidanzato-inviato molto speciale che, in questa occasione, ha accettato con entusiasmo di diventare foto-reporter per una sera, posso offrirvi un vero scoop fotografico della Shakespeare & Co. L’esterno con le luci di Natale già accese che, già da solo, vale la visita, ma anche l’interno con lunghe file di scaffali pieni di volumi, dove chi ama i libri si perde, letteralmente, tra migliaia di titoli e il profumo inconfondibile della carta e delle rilegature.

La cosa più emozionante comunque è acquistare un libro, al cui interno sarà apposto il timbro della Shakespeare & Co., e uscire a passeggiare lungo la Senna sapendo di tenere sotto il braccio un piccolo tesoro: unico e irripetibile come questa libreria.


Io, invece, aspetto di leggere il libro che il fidanzato-inviato ha detto di aver comprato pensando a me: s’intitola, mi pare, Le streghe: Salem 1692… mi devo preoccupare?





Pagina # 7 Le creazioni di Giò


Le creazioni di Gio’

Ma quanto mi piace scoprire e farvi conoscere gli artisti con le mani! E oggi è la volta di Giovanna Di Giorgio, donna di grande talento e sconfinata fantasia, che con materiali poveri crea delle vere e proprie opere di grande effetto.

Cominciamo con i materiali. Giovanna lavora con cartoncini, carte, piatti in vetro, bottiglie di recupero e li trasforma in pezzi unici grazie a timbri, colori ad alcol, foglia d’oro e d’argento, monili e bottoni. Grande esperta di decoupage, anche nella versione anticata, regala una patina vissuta anche agli oggetti più semplici e comuni.

Dalle sue mani nascono tanti piccoli gioielli: cartoncini di auguri, Natalizi e per ogni ricorrenza, che daranno vita ai vostri pensieri, bigliettini da allegare ai pacchetti che abbelliranno i vostri regali, segnalibri che renderanno indimenticabili le vostre letture, piatti, bottiglie, paralumi e altro ancora.

Un mondo tutto da scoprire quello di Giovanna e vi invito a farlo visitando la sua pagina Facebook Le creazioni di Giò! Per ordinare i suoi pezzi, realizzati anche su specifiche richieste, potete contattarla con un messaggio privato e Giovanna sarà felice di confermarvi disponibilità e prezzi delle sue creazioni.


Sarà un Natale ricco di emozioni anche grazie a Giovanna e ai suoi gioielli alla portata di tutti!




venerdì 18 novembre 2016

Recensioni & Co # 3 Nè di Eva nè di Adamo

Né di Eva né di Adamo
di Amélie Nothomb

Non ho trovato la copertina particolarmente attraente o suggestiva e neanche il titolo.  In realtà i motivi  per cui ho scelto questo romanzo sono altri: l’autrice, Amélie Nothomb, e le sue origini. Scrittrice belga nata in Giappone, la Nothomb è all’apice della sua narrativa quando ricorda la sua terra d’origine. Sarà che ho un animo nipponico - forse in un’altra vita sono stata anch’io figlia della terra del Sol Levante - ma di questo romanzo ho apprezzato in particolare le descrizioni del Giappone.

Il suo popolo, le abitudini e tradizioni, la cucina. Il monte Fuji, simbolo e incarnazione del Giappone, sulla cui sommità i nipponici devono salire almeno una volta nella vita per essere degni della loro nazionalità. Quel carattere fatto di riserbo, silenzi, ascolto, cura maniacale per i dettagli, amore per i rituali, orgoglio di appartenenza che fa dei Giapponesi un popolo alieno. Alieno dalla mentalità occidentale, come potrebbe sentirsi un marziano appena sbarcato sulla Terra. Diametralmente e inconciliabilmente diversi e, proprio per questo, così terribilmente affascinanti.

Questo è esattamente l’atteggiamento di Rinri, studente ventenne di Tokyo, nei confronti di Amélie, la sua bizzarra insegnante di francese e fidanzata.  Un rapporto tutto giocato sulla sottile, ma sostanziale, differenza tra il koi e l’ai: il primo è ciò che piace, che ci procura diletto, il secondo è l’amore, quello che prende il corpo, i sensi, le emozioni. Amélie non ama Rinri, ma non vi rinuncia perché lui è gentile, premuroso, tenero e paziente come solo un fidanzato giapponese sa essere. Lui è un giardino di ciliegi in fiore, un luogo incantato e comodo dove Amélie prende fiato per rituffarsi nel suo passato e in un presente diventato estraneo e tutto da riscoprire. Rinri, invece, ama Amélie con la curiosità propria dei Giapponesi per tutto ciò che è occidentale e con la rassegnata e incondizionata accettazione della sua cultura zen.

La zoroastriana scalata solitaria del monte Kumotori, in cui Amélie si trova a combattere con lo spirito della strega Yamamba e con la morte per congelamento, è una fuga epica, con qualche risvolto tragicomico, dalla realtà in un mondo fiabesco e nelle viscere oscure del suo essere più profondo. In Amélie l’istinto di sopravvivenza è più forte degli incantesimi e dell’incanto; le sue gambe le forniranno lo strumento per tornare alla vita.  

Una domanda espressa nella tipica formula negativa orientale e una risposta pensata all’occidentale faranno precipitare la situazione. Perché, dopotutto, gli esseri umani per amare qualcuno devono trovare un angolo nascosto e buio, una stortura che li renda affascinanti, un segreto inconfessabile da temere e da cui essere attratti.

E ancora una volta sarà la fuga a liberare Amélie dalla promessa di matrimonio con Rinri, e le ali di un aereo a ridarle la libertà. Ma la libertà di Amélie, in fondo, ha il sapore di una sconfitta: non riuscire a far chiarezza nei propri sentimenti, tornare a sorridere e a vivere pagando col dolore degli altri non è mai una soluzione. 

Ci vorrà l’abbraccio fraterno del samurai per liberare entrambi da una storia, solo apparentemente, perfetta e per accettare le proprie scelte di vita.    


mercoledì 16 novembre 2016

Dani# 4 Adelina



            Adelina è il titolo del mio racconto breve, arrivato finalista alla IX Edizione del Premio Letterario Il Poeta e il Narratore, 2016.

           Ve lo propongo, ricordandovi che potete trovarlo nell’antologia del Premio.

           Buona lettura!

PS: un applauso a chi capirà dove è ambientato… facile, no?


Adelina

Ero appena stato trasferito dalla città e me n’ero subito innamorato, non appena l’avevo incontrata la prima volta. Una mattina di tarda primavera, col cielo terso e i raggi del sole che si facevano sempre più arditi, nella piazza affollata degli odori e colori del mercato del sabato.

Mi ero avvicinato, con noncuranza, mentre mi spostavo da una bancarella all’altra, adocchiando qualcosa da mettere insieme per il pranzo e, subito, l’odore della sua pelle dorata mi aveva stregato. L’avevo seguita cercando di non farmi troppo notare, finché non ci eravamo quasi scontrati in un vicolo stretto che sapeva di mare e spezie.

Non c’erano state parole tra di noi, solo sguardi, come un naufrago che scruta l’orizzonte  sperando di trovarvi qualche indizio della terraferma. E lei era lì davanti a me; la mia isola incontaminata e rigogliosa, dove avrei potuto finalmente riposare. Furono carezze furtive, ma dolci e piene di promesse, e quella sera stessa l’andai a cercare come mi aveva chiesto.

Adelina, diceva la targa in ceramica accanto alla porta di legno odoroso, in fondo a quel budello scuro, dove il sole faceva fatica ad asciugare i panni stesi tra case variopinte come tramonti salmastri, e con le finestre così vicine che ci si poteva scambiare cibo, baci e imprecazioni senza neppure dover scendere per strada.   

Bussai e mi aprì. Labbra vermiglie, lunghi ricci arruffati da brezze maliziose, e un abito nero con una fila di bottoni di madreperla che non riuscivano a contenere una bellezza ribelle ed esplosiva.

Scendiamo fino in piazzetta? mi chiese, mentre i suoi fianchi ipnotizzavano i miei pensieri. Non mi importava chi fosse o cosa facesse per vivere, anche se ben presto compresi che non era possibile dimenticare il passato, o sperare in un futuro diverso, in quel buco di paese schiacciato tra il mugghiare del mare e il rombo sordo della montagna.

Hai visto l’Adelina? Gran bel pezzo di figliola! Dicono che abbia pagato l’affitto arretrato a Compare Giustino in una botta sola… Eh sì! Quando il soldo manca, la natura compensa! Ah, se solo avessi vent’anni di meno, glielo darei io un buon mese d’affitto… commentavano i pochi pensionati sulle sedie di paglia fuori dal Bar dello Sport. Grani consumati di un rosario profano che raccontava fatiche e bestemmie di vite trascorse tra le onde, e ora tirate in secca come le barche capovolte sui lati della piazzetta.

Ma hai visto che sfacciata? Come chi? L’Adelina! Ma la vedi come se ne va in giro? Scollacciata e con quelle gonne così corte che poco manca… Non farmi dire altro, che sennò passo sempre per malalingua! spettegolavano le comari, più per invidia che non per castità cristiana.

Quando la riaccompagnai a casa mi fissò con i suoi occhi grandi e profondi, come gli abissi di quel mare senza tempo. Mi prese per mano e mi portò dentro il suo letto, dove la notte profumata di basilico tramutò i nostri bisbigli rochi in gemiti infiniti, tra lenzuola umide di desiderio.

La lasciai che il biancore dell’alba disegnava il profilo ancora incerto dell’orizzonte. Una banconota sgualcita sul legno scuro del comodino come commiato. Era ancora troppo presto per dimenticare tutto in fondo a un bicchiere, e troppo tardi per pentirsi di una vita perduta.

Mi incamminai verso l’unico porto, dove speravo avrei trovato riparo dai rimorsi che mi straziavano l’anima, dall’eccitazione che non voleva abbandonare le mie membra, e dall’inquietudine che mi avvelenava la mente. Mi abbandonai stremato su una panca vuota della chiesa con le alte volte a fasce bianche e nere, dove riecheggiava il frangersi dei flutti irrequieti. Fissai il volto dolente del crocefisso e caddi in un sonno senza più suoni.

Quando mi risvegliai, la luce del giorno accendeva di mille colori le vetrate istoriate dell’abside. Una donna col velo nero era inginocchiata nella panca.
Padre nostro, rimetti a noi i nostri debiti e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dai nostri mali sussurrò, mentre mi accostavo al confessionale.


















       I suoi occhi grandi e profondi mi seguirono, mentre mi sistemavo la stola viola intorno al collo.






Pagina # 6 Qua la zampa!

    
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Oggi parliamo dei nostri amici pelosi! Stanchi delle solite scatolette? Beh, allora non vi resta che trovare una soluzione che unisca: prodotti di qualità, consegna a domicilio gratuita e consulenza nutrizionale professionale.


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lunedì 14 novembre 2016

Recensioni & Co # 2


L’inventore di sogni

Sembrerà una sciocchezza, ma anche la copertina ha avuto il suo perché nell’acquisto di questo libro. Il fatto poi che le storie che lo compongono vengano definite racconti per ragazzi ha fatto il resto.

Quello che mi è sembrato chiaro dopo averlo letto, d’un fiato ci tengo a precisare, è che McEwan gioca e si diverte, con grande ironia, col registro del racconto per ragazzi, ma, in realtà, il suo scopo è un altro.

Attraverso i sogni ad occhi aperti di Peter Fortune, un ragazzino di undici anni del tutto anonimo e normale, se non fosse per la sua strana propensione a starsene da solo e a perdersi in fantasticherie di ogni genere su oggetti, animali e persone, McEwan mette in contatto e, se necessario, sovverte, i rapporti tra il mondo dei bambini e quello degli adulti.

I sogni di Peter diventano la chiave di accesso a realtà altrimenti inaccessibili: il mondo delle bambole dove regna la terribile Cattiva, quello del gatto di casa, ormai vecchio e malandato, che riesce, grazie a Peter, a prendersi l’ultima rivincita su uno spavaldo gatto giovane e quello degli anziani, acidi e soli, che tormentano i bambini perfino sotto le mentite spoglie di un ladro inafferrabile.

Ma le incursioni più interessanti e rivoluzionarie del sognatore Peter sono quelle nel mondo degli adulti e dei più piccoli.  Un giorno d’estate, uno dei tanti trascorsi con la famiglia e gli amici sulla costa atlantica del Devon, Peter scopre il desiderio di comprendere meglio le abitudini, così strane e lontane, degli adulti che, anziché correre e giocare sulla spiaggia, trascorrono ore a chiacchierare, leggere e passeggiare. E il desiderio lo trasforma in un giovane adulto che conosce i battiti del cuore e il primo bacio con Gwendoline e, dopotutto, quel mondo non gli apparirà più così brutto e triste.

Avere undici anni è come vivere nella Terra di Mezzo: non si è piccoli, ma nemmeno grandi. E Peter sembra essersi dimenticato la sua vita di qualche anno prima. Ma ci pensa la sorellina Kate con la sua bacchetta magica a farlo entrare nel corpo del cuginetto Keith, e a fargli riscoprire delizie insospettabili come gattonare, spalmarsi il cibo sul viso, scoprire gli oggetti assaporandoli e cercare di trasformare i pensieri in suoni comprensibili.

Se poi la noia della vita quotidiana e l’insopportabile disordine casalingo lo assalgono, Peter ha un asso nella manica: la Pomata Svanilina. Ne basta poca per far scomparire tutta la famiglia e godersi un po’, ma non troppa, beata solitudine.


Racconti che fanno riflettere e che svelano, a volte in maniera ironicamente inquietante, la natura potenzialmente sovversiva della mente dei ragazzi che non hanno ancora varcato la linea che segna il confine col mondo degli adulti. 

O che, forse, non lo faranno mai.

Leggo dunque Sono




domenica 13 novembre 2016

Pagina # 5 Piccole creazioni





Piccole creazioni

        Ci sono persone che con le mani creano gioielli; pezzi unici realizzati con il cuore e grande maestria. Non importa con quali materiali perché, alla fine, il risultato è sempre sorprendente e piacevole.

       Antonella Memeo è una di queste. I suoi lavori sono piccole gemme frutto di un lavoro, spesso lungo e minuzioso, che, a volte, non viene riconosciuto in tutto il suo valore.

      Bavaglini, cuscini, bomboniere per battesimi, Comunioni, Cresime, anniversari di matrimonio, cappellini, copertine e salviette, profuma biancheria: queste e tantissime altre idee che le mani esperte di Antonella hanno trasformato in oggetti mai identici. Oggetti che, dentro, hanno tutto l'entusiasmo e, da non sottovalutare, la fatica e qualche diottria della loro creatrice!

     Che altro aggiungere? Andate a visitare la pagina Facebook Piccole Creazioni e vi renderete subito conto di cosa sto parlando.

    Ah, e ricordate! La qualità e la passione vanno pagate, per tutto il resto ci sono altri Made in...

    Antonella vi aspetta, basta un messaggio privato, per realizzare insieme i vostri Piccoli Sogni!




venerdì 11 novembre 2016

Pagina# 4 Poetry Slam



POETRY SLAM
La poesia non è fatta per glorificare il poeta, essa esiste per celebrare la comunità'
Mark Smith

Avete mai partecipato a un Poetry-slam, o, perlomeno, sapete di cosa si tratta?

Se la risposta è no, qui trovate qualche brevissimo cenno su questo fenomeno artistico e culturale che, secondo molti, rappresenta la forma più viva e rivoluzionaria della poesia contemporanea. Una poesia che rompe con gli schemi tradizionali per creare un nuovo rapporto tra poeta e pubblico: un rapporto diretto, immediato, improvvisato.

Ma procediamo con ordine.

La parola slam, nel gergo americano, indica un impatto, una sberla e l'espressione 'to slam a door', letteralmente significa 'sbattere una porta'. Il termine è stato associato a un genere di poesia proprio per il suo potere di catturare lo spettatore e 'schiaffeggiarlo' con le parole, al fine di scuoterlo, di emozionarlo. 

Nato nel 1984 in un jazz club di Chicago, dove Mark Smith, operaio nei cantieri e poeta, organizzò una serie di incontri di lettura a voce alta, il Poetry-slam è un’arte che nasce dalla strada, in cui le performance sono estremamente povere, prive cioè di effetti scenici, e perlopiù praticata in luoghi pubblici: pub, cantine, locali.

I poeti si alternano davanti al pubblico recitando i loro brani, che sono quasi sempre pezzi improvvisati e di espressione popolare, e il pubblico esprime con fischi e applausi le proprie preferenze.

Lo spirito dello slam è la parola scritta e declamata, il dialogo, l’interazione, la critica, ma anche l’apertura all’altro.

Le regole dei Poetry-slam sono poche, ma basilari:
                Iscrizione aperta a tutti
                Esibizione a cappella
                Assenza di riempimenti musicali, luci e abbigliamento particolari
                Libertà d'espressione; si possono leggere, scandire, cantare testi costruiti su temi liberi
                Tempo a disposizione per ogni esibizione: dai 3 ai 5 minuti
                Il poeta-slam si esibisce soprattutto per il piacere di condividere i propri testi con il                               pubblico
                I giudici sono scelti tra il pubblico
                Nelle esibizioni nei locali pubblici, vale la regola un testo detto = un bicchiere offerto

Bella l’idea, no? E se, leggendo questa intro, vi fosse venuta voglia di partecipare, come slam-poet o come pubblico, niente paura c’è, a breve, un Poetry-slam in programma a Monza.

Si tratta dello Slam Poetry & Company, unico evento di questo genere mai presentato a Monza, organizzato da Stefania Convalle e dalla sottoscritta.

Quando? Il 28 gennaio 2017 dalle ore 20:00 in poi.

Dove? In un simpatico e accogliente locale in zona Triante che, per chi ne farà richiesta, preparerà un ottimo aperitivo.

Cosa fare per partecipare? Le iscrizioni sono a numero chiuso e, al momento, sono rimasti solo 4 posti liberi per chi volesse esibirsi in questa gara istantanea di parole con poesie, racconti, pensieri. Chi fosse interessato, può fare riferimento alla pagina Facebook dedicata all’evento Slam Poetry & Company, oppure lasciare un commento qui e sarà indirizzato ai contatti degli organizzatori.

Allora, siete caldi?

Noi, sì!