lunedì 12 dicembre 2016

Pagina # 10: Il Ponte del Diavolo


Quando il Diavolo ci mette lo zampino…
ovvero Il ponte del Diavolo

Per il ponte dell’Immacolata siamo andati, io e il Delizioso (ndr così si è espresso il mio fidanzato ;-), in Toscana: Massa, Forte dei Marmi, Pisa, Luca, Bagni di Lucca e Borgo a Mozzano. Alcune località famose, altre un po’ meno come l’ultima che, però, offre ai visitatori che arrivano fin là una perla architettonica, ingegneristica e, perché no, storico-leggendaria: il Ponte del Diavolo.

Prima di partire mi ero documentata un po’ sulle bellezze da vedere e così mi erano capitate sott’occhio alcune foto; troppo bello, dovevo vederlo e attraversarlo, tanto più che la leggenda che aleggia intorno alla costruzione di questo ponte tira in ballo, nientepopodimenoche il diavolo in persona!

Detto fatto: il Delizioso, armato di santa pazienza e navigatore impostato, affronta con maestria curve e controcurve e, a un tratto, eccolo lì sulla nostra sinistra con le sue campate di grandezza crescente che si gettano, in una strana e affascinante asimmetria, da una riva all’altra del fiume Serchio.

La storia ci dice che, questa eccezionale opera di ingegneria medioevale, fu probabilmente voluta dalla contessa Matilde di Canossa, mentre il suo nome ufficiale Ponte della Maddalena è dovuto a una edicola, costruita intorno al 1500 ma non più esistente,  che custodiva la figura della Maddalena.

La leggenda, invece, ci parla di un Ponte del Diavolo che si trovò, suo malgrado, invischiato nella sua costruzione. In realtà il compito di edificare il  ponte era stato affidato a S. Giuliano l'Ospitaliere. L'opera si rivelò di difficile realizzazione e, quando si rese conto che non avrebbe completato il lavoro entro la scadenza, il capomastro sprofondò nella disperazione. Una sera, mentre sedeva da solo sulla sponda del Serchio pensando al disonore che gli sarebbe toccato per non aver terminato il ponte in tempo utile, gli apparve il diavolo che gli propose un patto. Il maligno lo avrebbe terminato in una sola notte, ma a una condizione: avrebbe preso l'anima di colui che avesse attraversato il ponte per primo. Il patto fu siglato: in una sola notte il diavolo con la sua forca sollevò la grande campata del ponte. Il costruttore, pieno di rimorso, andò a confessarsi da un religioso che gli disse di rispettare il patto, ma di aver l'accortezza di far attraversare per primo il ponte a un… maiale. Il giorno successivo il capomastro impedì l'accesso alle persone e fece attraversare per primo il ponte alla bestia. La leggenda vuole che il diavolo, inferocito per la beffa, si gettò giù dal ponte nelle acque del Serchio e non si fece rivedere mai più da quelle parti.

La realtà è stata senz’altro superiore alle aspettative; sarà per l’aura di mistero che lo circonda, sarà per la bellezza mozzafiato del paesaggio illuminato dal sole, sarà per l’incredibile sfida alla forza di gravità della campata centrale, ma – vi assicuro – passeggiare, o meglio arrancare, fino in cima a questo ponte è un’esperienza davvero unica!

lunedì 5 dicembre 2016

Recensioni & Co #5: Passione fotografia


PASSIONE FOTOGRAFIA, OVVERO THE ONLY WAY IS UP


7 DOMANDE A BARBARA MANIERO

               Buongiorno Barbara e ben ritrovata! Per chi non lo sapesse, Barbara e io siamo state colleghe nello stesso ufficio una vita fa. Poi lei ha preso la strada degli Stati Uniti, dove si è trasferita, ha studiato e svolto vari lavori, e ha potuto, soprattutto, realizzare un suo grande sogno.  Un altro caso di cervelli in fuga, se non fosse che Barbara torna spesso in Italia, dove c’è la sua famiglia e gli amici e la sua, più che una fuga, può essere definita una passione: quella per la fotografia.
             Partiamo subito con le sette domande a Barbara per conoscere meglio lei e la sua arte:

D.  Come e quando nasce la tua passione per la fotografia? O, se preferisci, quando ti sei accorta di non poter vivere senza stare attaccata all’obbiettivo della tua macchina fotografica?
R. La mia passione e’ iniziata da teenager con la mia prima point-and-shoot. Ogni occasione era buona per fare foto. A quei tempi generalmente scattavo foto agli amici.
Già da allora avevo il grilletto facile. Mi ricordo sempre un viaggio a Praga e Vienna di una settimana in cui ho scattato più di dieci rullini!

D. Cosa significa lavorare oggi come fotografa negli Stati Uniti? Il tuo essere Italiana ti ha aperto o chiuso qualche porta? Il fatto che gli Italiani sono un popolo di santi, poeti e fotografi qualcosa avrà pur contato nella tua esperienza , immagino! Spero non vorrai demolire questa mia convinzione…J
R. Oggi giorno fare il fotografo e, soprattutto, avviare un’attività a tempo pieno e’ molto difficile. Il motivo principale e’ l’avvento della fotografia digitale. Con le macchine fotografiche digitali e i telefonini, che a volte hanno una risoluzione migliore di certe macchinette, oggi tutti sono ‘fotografi’. La gente non vuole spendere soldi e si affida a parenti e amici in possesso di una buona  macchina fotografica. Non capiscono purtroppo che non e’ la macchina fotografica a fare le foto belle, ma l’occhio che ci sta dietro. Il commento che mi urta maggiormente è questo: che bella macchina fotografica, sicuramente farà delle foto bellissime! 
Di certo la mia nazionalità non mi ha precluso alcuna  opportunità. Come dice il detto, l’America è il paese delle opportunità, ed e’ proprio vero!  Se hai voglia di fare, se hai talento, se hai un’idea, non importa chi sei o da dove vieni, c’e’ posto anche per te.
Sono sicura che il mio background, l’essere cresciuta in Italia, la famiglia e le mie varie esperienze in qualche modo sono rappresentate nelle mie immagini. Credo che sia principalmente nello stile e nella ricerca del bello, anche nelle cose più semplici e comuni, dove emerge la mia Italianità.

D. Quali sono i tuoi soggetti preferiti ? In quale momento della giornata hai fatto i tuoi scatti migliori?
R. I miei soggetti sono molto vari, ma principalmente prediligo paesaggi e persone.
Vivendo in California, vicino all’oceano, i paesaggi sono stupendi e i tramonti sono sempre spettacolari.
I momenti della giornata migliori per scattare foto sono la mattina presto quando il sole sorge, e un’ora prima del tramonto, la cosiddetta golden hour.
Mi appassiona molto anche la fotografia notturna. Le luci, i riflessi, le ombre. Quando scende il buio tutto cambia e acquista un aspetto etereo.
Nell’immediato futuro inizierò a concentrarmi principalmente sui ritratti.

D. Viene logico a questo punto chiederti cos’è per te un bello scatto? Quali caratteristiche deve avere una fotografia per essere giudicata bella, ben riuscita?
R. Per me un bello scatto e’ quello che produce una reazione in chi lo guarda. Non importa che reazione sia. Non mi aspetto che tutte le mie foto piacciano sempre a tutti, ma se lo spettatore si ferma a guardarle, ad osservarle e sente qualcosa - che sia positivo o negativo - se le foto lo fanno pensare, allora il mio scopo e’ stato raggiunto.
Una foto e’ molto soggettiva. Rappresenta la prospettiva del fotografo, il suo umore nel momento in cui la foto viene scattata, le sue intenzioni dietro a quella foto. E ovviamente la reazione che suscita nello spettatore e’ altrettanto soggettiva per quella persona. La sua reazione dipende dalle sue esperienze, dal suo background, dall’umore in cui si trova in quel momento.

D. I fotografi solitamente si dividono in due squadre opposte: i sostenitori della Canon e quelli della Nikkon (tutta pubblicità gratuita, eh J). La tua fedele compagna di appostamenti e avventure a quale delle due appartiene, oppure c’è un terzo incomodo?
R. Canon! La mia macchina fotografica principale e’ sempre stata una Canon. Non ci sono motivi profondi dietro questa scelta. La mia point and shoot era Canon, la mia prima 35mm era Canon e quando ho fatto il passaggio al digitale sono rimasta con la Canon.
Però c’e’ anche l’intrusa. Siccome la mia Canon non e’ molto comoda da portare in giro ogni giorno, e non posso uscire di casa senza la macchina fotografica, uso anche una Lumix. Ci sta nella borsetta, la qualità delle immagini e’ buona e mi da’ quasi la stessa flessibilità della mia macchina fotografica principale.

D. Cosa ha dato e cosa sta dando a Barbara, come persona e professionista, la fotografia? Dall’altra parte,  Barbara cosa pensa di trasmettere al suo pubblico con i suoi scatti?
R. La fotografia e’ la mia forma di espressione, come per te e’ lo scrivere. Le foto le scatto principalmente per me stessa. Rappresentano ricordi, momenti, emozioni della mia vita.
Al mio pubblico spero di trasmettere un’emozione. Mi piacerebbe che i miei scatti dessero al pubblico una sensazione di calore, che fossero un conduttore per i loro ricordi - fatti o sentimenti vissuti o provati nella loro vita - e che provocassero nuove sensazioni, possibilmente positive.

D. Per concludere, dove è possibile ammirare le tue fotografie e dove è possibile acquistarle? Siamo prossimi al Natale e una bella raccolta di fotografie è sicuramente un’idea regalo originale!
R. Ho una mia Pagina Facebook: https://www.facebook.com/barbaramanierophotography/
Seguitemi! J
Ho anche pubblicato un libro di foto con citazioni sia in inglese che in italiano. Lo potete trovare in vendita su Blurb: http://www.blurb.com/b/6683192-the-only-way-is-up
Potete approfittare del 40% di sconto fino all’8 Dicembre: CODE: THRILL40
Negli ultimi anni ho intrapreso un progetto personale che prevede di scattare una foto al giorno con lo scopo di stimolare la mia mente, imparare nuove tecniche e continuare a migliorare in questa arte.
Ho sviluppato questo progetto per tre anni non consecutivi. Sotto trovate i link dei primi due progetti, il terzo e' ancora in corso sulla mia pagina Facebook.
The 365 Project:: http://barbaramaniero.com/the365project/
foTo:: http://barbaramaniero.com/foTo/
Il mio sito ufficiale e' in via di aggiornamento. Se qualcuno avesse domande e/o volesse acquistare delle foto può contattarmi con un messaggio privato sulla pagina di Facebook.

Grazie mille per avermi dedicato questo spazio. Ne sono onorata.

Grazie a te, Barbara per avere accettato questa breve intervista per il mio blog Le cose di Dani, e speriamo di poter avere presto una tua mostra fotografica qui in Italia!



















venerdì 2 dicembre 2016

Pagina #9: Mamy Training Shop

Babywearing

Indossare un bebè si può!


Avete mai pensato a quale è il modo più semplice e naturale di portare un neonato? Pensate a come portano i propri bebè le donne di un villaggio africano o indiano… Esatto! Il metodo migliore è proprio questo; perché attraverso il contatto diretto col corpo materno il bebè rivive le sensazioni che provava durante la gestazione, stabilisce un contatto visivo immediato, acquisisce sicurezza, senso dell'equilibrio e dello spazio, impara a riconoscere i propri limiti, a testare l'efficacia dei propri segnali e, grazie alla varietà degli stimoli che percepisce, raggiunge uno sviluppo intellettivo elevato.


            Tutto questo si può riassumere in sole 5 parole: fasce elastiche Mamy Training Shop, che potete trovare sul sito www.mamytrainingshop.com di Luana Li Veli.


Luana è una consulente Babywearing Italia, presso cui ha sostenuto esami di abilitazione, e come tale organizza incontri gratuiti e informativi per neo genitori, spiegando le basi del portare. Dopo questi incontri preliminari le mamme e i papà decidono se fare una consulenza formativa di gruppo o individuale.

Frequentare i corsi è fondamentale per comprendere come utilizzare correttamente le fasce porta bebè, dice Luana, perché eseguire legature perfette non è cosa che si possa imparare semplicemente leggendo un libretto di istruzioni!

Le fasce elastiche Mamy Training Shop sono totalmente Made in Italy: dalla materia prima - 100% cotone antibatterico e anallergico - al confezionamento, e sono realizzate con tinture prive di sostanze tossiche tutte conformi alla Certificazione REACH (CE N 1907/2006), per evitare che il bimbo possa ingerire sostanze nocive o cancerogene.

Con le fasce elastiche Mamy Training Shop si possono portare neonati fin dal primo giorno di vita, comodamente e in totale sicurezza! conferma Luana che collabora con ostetriche, pediatri, ed osteopati per bimbi con problemi di displasia alle anche. Gli specialisti medici hanno infatti riconosciuto l’impiego terapeutico delle fasce Mamy Training Shop; non solo perché questo tipo di supporto non grava sulle spalle, la schiena e le braccia del portatore, ma soprattutto perché, assecondando la naturale postura del bebè, favorisce il corretto sviluppo della sua colonna vertebrale.

Se volete saperne di più sugli articoli in vendita e sui training organizzati da Luana – un’ottima idea regalo per donne incinte e, perché no?, per i loro mariti e compagni, potete contattarla direttamente – tutti i  suoi dettagli sono nella scheda qui sotto – e, nel frattempo, date un’occhiata al sito www.mamytrainingshop.com





mercoledì 30 novembre 2016

Recensioni & Co. # 4: Sonno


Sonno
Haruki Murakami

Quand’era stata l’ultima volta che avevo davvero letto un libro? E di che si trattava? 
Provai a pensarci, ma era fatica sprecata, non mi ricordavo il titolo. Mi chiesi perché la vita di una persona dovesse subire un cambiamento tanto radicale. 
Dov’era finita quella ragazza che leggeva come un’invasata? Quel tempo, e quella passione tanto forte da potersi quasi considerare anormale, cos’erano ormai per me?

Sonno è un racconto di Haruki Murakami reso ancora più ipnotico dalle illustrazioni in bianco, argento e nero di Kat Menschik. Una trama, apparentemente, semplice che nasconde la profondità inaspettata e terrificante del mito.

Una donna trentenne, sposata con un dentista e madre di un figlio in età scolare, improvvisamente è colpita da insonnia. Un episodio inspiegabile, non legato a problemi di lavoro o di famiglia, che le era già capitato quando studiava all’università. Una specie di paralisi notturna provocata da un incubo e seguita da notti completamente insonni. Solo che questa volta l’insonnia si protrae per ben diciassette notti.

Per cercare di colmare le lunghe ore vuote, il silenzio e il buio al quale i suoi occhi si sono abituati, la donna riprende a leggere Anna Karenina e, a mano a mano che si addentra nel romanzo, si accorge che tutto sta cambiando. Intorno e dentro di lei.

Il romanzo non è più lo stesso di quando lo aveva letto molti anni prima; adesso le appaiono nuovi significati, i personaggi si presentano con tratti diversi e la storia le si svela con aspetti che non ricordava, che non aveva mai neppure intuito.

La lettura diventa così l’unico mondo reale, dove la donna riesce a essere se stessa; l’altro, il mondo della quotidianità e degli affetti, è ormai ridotto al ripetersi meccanico e senza emozione di gesti automatici compiuti in un cosciente dormiveglia. Il suo corpo prepara la cena per il marito, nuota in piscina, dà la merenda al figlio, ma la mente è altrove; in un limbo indefinito dove la coscienza è sempre vigile e allerta, e non attende altro che il momento in cui potrà vivere dentro la lettura.

Questa trasformazione, in cui la donna si troverà, contro ogni logica fisiologica, a non provare stanchezza, ma anzi a sentirsi piena di energia e a vedersi più bella, quasi ringiovanita, ha inizio con un incubo nel quale un vecchio vestito di nero le versa dell’acqua sui piedi. E la brocca non si svuota mai.

In questa figura, muta e mitologica, mi piace vedere una sorta di demone che purifica con l’acqua i mortali che si apprestano a varcare la soglia dell’esistenza corporea, e a calarsi nella profondità della vera realtà.

In questa discesa agli Inferi del Sé attraverso la lettura -sì, perché leggere è la chiave di accesso a questo mondo nascosto, ma più reale della vita fisica - la donna diventa anch’essa un demone. Non un demone della tradizione cristiana legato alla colpa e al peccato, quanto piuttosto una figura a metà strada tra l’umano e il divino. La donna perde infatti, a poco a poco, i suoi tratti umani; si rende conto della bruttezza del marito, riconosce il disprezzo che proverà un giorno per il figlio, e, in ultimo, nasconderà la sua femminilità sotto abiti maschili.

Diventerà così una creatura della notte, del buio che ormai è dentro di lei, consapevole di non poter più tornare a quell’esistenza tranquilla e banale che aveva condotto. La discesa è finita, così come si è conclusa la lettura di Anna Karenina, e per entrambe è arrivato il punto di non ritorno
Nessuna di loro potrà accettare una vita qualunque, tutte e due sceglieranno, deliberatamente, un destino diverso.


Un finale aperto quello di Murakami, un finale onirico e visionario come i disegni che accompagnano il percorso della sua protagonista. L’unico finale possibile per un racconto possente che ci mette di fronte alle paure primordiali dell’uomo, e ai dubbi più oscuri della nostra esistenza.

lunedì 28 novembre 2016

Dani # 5: Il ciuchino di Babbo Natale


Natale si avvicina e anch’io ho pensato a un piccolo regalo per i miei lettori; è la mia favola Il ciuchino di Babbo Natale.
Spero che vi piacerà, soprattutto se la leggerete insieme ai vostri bimbi e ai vostri cari, tornando con la mente alle Vigilie della vostra infanzia.
Con me ha funzionato!

Il ciuchino di Babbo Natale


Babbo Natale si rigirò tra le mani la lettera che Elwod, il più anziano degli Elfi, gli aveva consegnato quella mattina. L’aveva già letta decine di volte e ancora non riusciva a crederci. Il direttore dell’Ufficio del Lavoro del Polo Nord gli comunicava che dal giorno seguente, raggiunto il limite massimo di anzianità lavorativa, avrebbe dovuto considerarsi in pensione.

Lui, Babbo Natale! Lui che aveva diligentemente consegnato milioni di regali a tutti i bambini del mondo da quando… da quando non se lo ricordava più nemmeno lui, ma doveva essere di certo un sacco di tempo visto che se lo era perfino dimenticato.

«Per mille fiocchi di neve!» Esclamò tirandosi la lunga barba bianca e dandosi una grattatina sotto al berretto rosso che gli pendeva da un lato. Continuò a leggere: il funzionario, dopo averlo frettolosamente ringraziato per tutti i lunghi anni di onorato servizio, lo informava che il suo sostituto, il nuovo Babbo Natale in carica, sarebbe arrivato l’indomani a mezzanotte.

«Per mille renne dell’artico!» Borbottò e – credetemi! – quando Babbo Natale diceva così era davvero arrabbiato. L’indomani sarebbe stata la Vigilia di Natale; il suo ultimo giorno di servizio e la sua ultima consegna di doni ai bambini. Lanciò un’occhiata agli Elfi che, nel grande laboratorio a forma di abete, correvano instancabili da un banco all’altro a confezionare i doni per i bambini che erano stati buoni durante l’anno, e che li avrebbero trovati sotto ai loro alberi la mattina di Natale.

C’erano migliaia di pacchetti, rossi, verdi, gialli e blu, sparsi per tutto il laboratorio e, una volta infiocchettati, gli Elfi li mettevano dentro un’enorme cesta. Una cesta così enorme che non si riempiva
mai: la cesta di Babbo Natale. Pensò che, tra qualche ora, tutto quel trambusto sarebbe cessato, e lui avrebbe riposto il vestito rosso fiammante ancora nuovo – lo aveva solo fatto allargare un pochino in vita dove gli tirava sulla pancia – in naftalina. Già si immaginava le sue future giornate da pensionato: sarebbe andato a pescare salmoni con gli orsi bianchi e avrebbe giocato a palle di neve coi trichechi. Fece appena in tempo ad asciugare una lacrima che gli tremava tra le ciglia, quando Elwod entrò trafelato nel suo ufficio.

            «Babbo Natale, ho una brutta notizia! Vischio non ce l’ha fatta e si è addormentato sotto i rami del grande Pino Bianco!» Gli comunicò con voce tremante. Dovete sapere che quando le renne diventano molto vecchie vanno a sdraiarsi sotto un grande pino bianco che cresce solo al Polo Nord, e lì si addormentano felici per sempre.

            «Ci mancava solo questa!» Pensò Babbo Natale. Vischio era la sua renna più anziana e la più esperta; quella che stava davanti a tutte le altre e le guidava per far volare la sua slitta carica di doni. Con Vischio non aveva mai fatto un incidente – era proprio una brava renna! – e solo lei sapeva come far scivolare dolcemente la slitta nel cielo come se stesse correndo sulla neve fresca. E adesso cosa avrebbe fatto senza di lei? Un’altra tirata di barba e una grattatina sotto al berretto e, finalmente, l’idea arrivò.

            «Sbrigati, Elwod! Mettiti subito in viaggio verso il villaggio più vicino e trova una renna giovane e forte per questa notte. Va’, corri più in fretta che puoi, perché mancano poche ore alla consegna dei doni!» Elwod si infilò il berretto magico coi sonagli e si mise a correre tra boschi e montagne piene di neve. Il villaggio più vicino distava molti chilometri, ma con il berretto magico in testa Elwod li percorse in un battibaleno e, dopo dieci minuti, era già nella piazza del villaggio, dove quel giorno c’era il mercato del bestiame.


            Elwod gironzolò un po’ alla ricerca della renna che gli aveva chiesto Babbo Natale, ma sembrava che tutte le renne giovani e forti fossero già state vendute. Alla fine si avvicinò a un ragazzino vestito di cenci che teneva alla corda un ciuchino bigio; il ragazzino tremava dal freddo e dalla fame, e il ciuchino se ne stava tranquillo con le orecchie abbassate. 

            Fu così che Elwod – degli Elfi si può dire tutto, ma non che non abbiano un gran cuore – diede tre monete d’oro al ragazzino, e tornò da Babbo Natale col ciuchino bigio che lo seguiva ragliando allegro.

            «Per mille pupazzi di neve!» Esclamò Babbo Natale al vederli arrivare, e, questa volta, era davvero sorpreso. Ma che strana renna era mai quella? Si domandò tirandosi la barba e grattandosi la testa contemporaneamente. Se la vista non lo tradiva, anche se ultimamente le lenti dei suoi occhiali erano diventate sempre più spesse, quello era un asino. Ma sì, un quadrupede dal pelo bigio e con le orecchie lunghe come… come un asino, appunto! Babbo Natale guardò Elwod e poi l’asino, l’asino e poi di nuovo Elwod ed ebbe un’idea. Quella notte la sua slitta avrebbe volato sopra ai tetti delle case come ogni anno.

            Don, don, don. Gli orologi stavano battendo la mezzanotte e la consegna dei doni non era ancora terminata. La slitta aveva sfrecciato a gran velocità nel cielo grazie a un bel ciuchino bigio che, orgoglioso delle grandi corna posticce legate alle orecchie, aveva guidato e incitato le compagne senza un attimo di riposo. Mancava solo un ultimo villaggio da visitare, un ultimo dono da consegnare e poi tutto sarebbe finito. Babbo Natale abbassò le redini e la slitta atterrò dolcemente vicino a una capanna di legno e paglia. 

            Babbo Natale scese dalla slitta e si mise sotto braccio l’ultimo pacchetto. Era davvero una povera capanna quella; non c’era nemmeno il camino, ma dalla porta spalancata veniva un gran luce che illuminava la notte tutt’intorno. Quando entrò rimase a bocca aperta.
            Un bambino appena nato giaceva in una mangiatoia; i mantelli di lana ruvida della madre e del padre gli facevano da coperta, mentre il fiato di un bue lo scaldava dal gelo della notte. Babbo Natale si avvicinò e, quando vide il sorriso del bambino, il pacchettino che teneva tra le mani gli sembrò piccolo e inutile. Stava per nasconderlo dietro la schiena quando il bambino indicò con la mano il ciuchino, e sorrise di nuovo a Babbo Natale. Il ciuchino si scrollò via le corna da renna con un raglio allegro, e si stese accanto al bue a scaldare col suo fiato il bambino nato la notte di Natale.

            Quando Babbo Natale ripartì la sua slitta aveva una renna in meno, ma era così leggera e veloce che superò perfino una stella cometa. Da quel giorno non sarebbe più stato Babbo Natale, ma la gioia che aveva nel cuore l’avrebbe conservata per sempre. Tese l’orecchio e gli sembrò di sentire il raglio di un ciuchino. Si tirò la barba, diede una grattatina sotto al berretto e sorrise; quello era stato il più bel regalo di Natale.
           
Creato: 26/10/2016
Pubblicato: 28/11/2016
                       Titolare del Copyright: Daniela Quadri


Buon Natale !

martedì 22 novembre 2016

Pagina # 8: Shakespeare & Co.


Shakespeare & Co.
Le librerie più belle del mondo

Al 37 di Rue de la Bûcherie, vicino a Place St. Michel sulla Rive Gauche della Senna, c’è una delle librerie più belle e famose del mondo: Shakespeare & Co.  La libreria originale fu aperta a Parigi nel 1919 da Sylvia Beach, un’emigrata statunitense, e negli anni venti divenne luogo di incontro per scrittori come Ezra Pound, Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald,  Gertrude Stein, George Antheil, Man Ray, James Joyce e Ford Madox Ford.

Chiusa nel dicembre 1941 durante l'occupazione nazista, non venne più riaperta. Ma nel 1951 George Whitman aprì un'altra libreria che, come l'originale Shakespeare and Company, diventò il centro della vita culturale e letteraria parigina. Alla morte di Sylvia Beach il nome della libreria venne cambiato, in suo onore, in Shakespeare and Company.

L’attuale Shakespeare & Co. è gestita dalla figlia di Whitman ed è molto più di una libreria; qui si vendono libri, anche in edizioni rare e introvabili, ma si offrono anche posti da dormire, ricavati dai divani all’interno, ad artisti e scrittori squattrinati in cambio di alcune ore di lavoro a sistemare i libri fra gli scaffali. Ci sono poi eventi tradizionali come il Sunday tea: incontri con gli scrittori e letture di poesie.

Grazie al mio fidanzato-inviato molto speciale che, in questa occasione, ha accettato con entusiasmo di diventare foto-reporter per una sera, posso offrirvi un vero scoop fotografico della Shakespeare & Co. L’esterno con le luci di Natale già accese che, già da solo, vale la visita, ma anche l’interno con lunghe file di scaffali pieni di volumi, dove chi ama i libri si perde, letteralmente, tra migliaia di titoli e il profumo inconfondibile della carta e delle rilegature.

La cosa più emozionante comunque è acquistare un libro, al cui interno sarà apposto il timbro della Shakespeare & Co., e uscire a passeggiare lungo la Senna sapendo di tenere sotto il braccio un piccolo tesoro: unico e irripetibile come questa libreria.


Io, invece, aspetto di leggere il libro che il fidanzato-inviato ha detto di aver comprato pensando a me: s’intitola, mi pare, Le streghe: Salem 1692… mi devo preoccupare?





Pagina # 7 Le creazioni di Giò


Le creazioni di Gio’

Ma quanto mi piace scoprire e farvi conoscere gli artisti con le mani! E oggi è la volta di Giovanna Di Giorgio, donna di grande talento e sconfinata fantasia, che con materiali poveri crea delle vere e proprie opere di grande effetto.

Cominciamo con i materiali. Giovanna lavora con cartoncini, carte, piatti in vetro, bottiglie di recupero e li trasforma in pezzi unici grazie a timbri, colori ad alcol, foglia d’oro e d’argento, monili e bottoni. Grande esperta di decoupage, anche nella versione anticata, regala una patina vissuta anche agli oggetti più semplici e comuni.

Dalle sue mani nascono tanti piccoli gioielli: cartoncini di auguri, Natalizi e per ogni ricorrenza, che daranno vita ai vostri pensieri, bigliettini da allegare ai pacchetti che abbelliranno i vostri regali, segnalibri che renderanno indimenticabili le vostre letture, piatti, bottiglie, paralumi e altro ancora.

Un mondo tutto da scoprire quello di Giovanna e vi invito a farlo visitando la sua pagina Facebook Le creazioni di Giò! Per ordinare i suoi pezzi, realizzati anche su specifiche richieste, potete contattarla con un messaggio privato e Giovanna sarà felice di confermarvi disponibilità e prezzi delle sue creazioni.


Sarà un Natale ricco di emozioni anche grazie a Giovanna e ai suoi gioielli alla portata di tutti!




venerdì 18 novembre 2016

Recensioni & Co # 3 Nè di Eva nè di Adamo

Né di Eva né di Adamo
di Amélie Nothomb

Non ho trovato la copertina particolarmente attraente o suggestiva e neanche il titolo.  In realtà i motivi  per cui ho scelto questo romanzo sono altri: l’autrice, Amélie Nothomb, e le sue origini. Scrittrice belga nata in Giappone, la Nothomb è all’apice della sua narrativa quando ricorda la sua terra d’origine. Sarà che ho un animo nipponico - forse in un’altra vita sono stata anch’io figlia della terra del Sol Levante - ma di questo romanzo ho apprezzato in particolare le descrizioni del Giappone.

Il suo popolo, le abitudini e tradizioni, la cucina. Il monte Fuji, simbolo e incarnazione del Giappone, sulla cui sommità i nipponici devono salire almeno una volta nella vita per essere degni della loro nazionalità. Quel carattere fatto di riserbo, silenzi, ascolto, cura maniacale per i dettagli, amore per i rituali, orgoglio di appartenenza che fa dei Giapponesi un popolo alieno. Alieno dalla mentalità occidentale, come potrebbe sentirsi un marziano appena sbarcato sulla Terra. Diametralmente e inconciliabilmente diversi e, proprio per questo, così terribilmente affascinanti.

Questo è esattamente l’atteggiamento di Rinri, studente ventenne di Tokyo, nei confronti di Amélie, la sua bizzarra insegnante di francese e fidanzata.  Un rapporto tutto giocato sulla sottile, ma sostanziale, differenza tra il koi e l’ai: il primo è ciò che piace, che ci procura diletto, il secondo è l’amore, quello che prende il corpo, i sensi, le emozioni. Amélie non ama Rinri, ma non vi rinuncia perché lui è gentile, premuroso, tenero e paziente come solo un fidanzato giapponese sa essere. Lui è un giardino di ciliegi in fiore, un luogo incantato e comodo dove Amélie prende fiato per rituffarsi nel suo passato e in un presente diventato estraneo e tutto da riscoprire. Rinri, invece, ama Amélie con la curiosità propria dei Giapponesi per tutto ciò che è occidentale e con la rassegnata e incondizionata accettazione della sua cultura zen.

La zoroastriana scalata solitaria del monte Kumotori, in cui Amélie si trova a combattere con lo spirito della strega Yamamba e con la morte per congelamento, è una fuga epica, con qualche risvolto tragicomico, dalla realtà in un mondo fiabesco e nelle viscere oscure del suo essere più profondo. In Amélie l’istinto di sopravvivenza è più forte degli incantesimi e dell’incanto; le sue gambe le forniranno lo strumento per tornare alla vita.  

Una domanda espressa nella tipica formula negativa orientale e una risposta pensata all’occidentale faranno precipitare la situazione. Perché, dopotutto, gli esseri umani per amare qualcuno devono trovare un angolo nascosto e buio, una stortura che li renda affascinanti, un segreto inconfessabile da temere e da cui essere attratti.

E ancora una volta sarà la fuga a liberare Amélie dalla promessa di matrimonio con Rinri, e le ali di un aereo a ridarle la libertà. Ma la libertà di Amélie, in fondo, ha il sapore di una sconfitta: non riuscire a far chiarezza nei propri sentimenti, tornare a sorridere e a vivere pagando col dolore degli altri non è mai una soluzione. 

Ci vorrà l’abbraccio fraterno del samurai per liberare entrambi da una storia, solo apparentemente, perfetta e per accettare le proprie scelte di vita.