mercoledì 25 gennaio 2017

Pagina # 14: Vivien Maier

Alla scoperta di… Vivien Maier 

Metti una domenica pomeriggio di gennaio in centro Monza: abbastanza fredda da farti desiderare un posto al coperto, dove poter vedere qualcosa di mai visto prima e , soprattutto, sorprendentemente affascinante. 

Pensa all'Arengario e il gioco è fatto! Perché proprio nella sala dell'antico arengo ha trovato spazio la mostra fotografica dedicata a Vivien Maier.

Se a tutto ciò si aggiunge l'alone di mistero che circonda la vita e l'opera di questa fotografa, allora l'esperienza diventa addirittura entusiasmante.

Vivian Dorothea Maier nasce a New York  nel 1926 da madre francese e padre austriaco, trascorre l’infanzia in Francia, e ritorna negli Stati Uniti negli anni 50. Dopo aver lavorato per un breve periodo a New York in una fabbrica, Vivian  decide di trasferirsi a  Chicago,  dove inizia a svolgere la professione di tata.  Nell’ultima parte della sua vita  attraversa un periodo d’indigenza e si ritrova costretta a ricorrere all’assistenza sociale per non finire sulla strada;  fortunatamente le vengono in aiuto tre dei suoi ex bambini, che acquistano  per lei un appartamento. Nel 2008 Vivian  scivola sul ghiaccio,  riportando una grave ferita  alla testa.  Muore l’anno successivo a Chicago, all’età di 83 anni.

La vita di Vivian Maier sembrerebbe una vita anonima, se non fosse che questa tata, definita una persona solitaria e riservata da chi la conosceva, girava sempre con una Rolleiflex al collo, con cui scattava foto che non mostrava mai a nessuno. La sua passione per la fotografia era assolutamente fuori dal comune, e con il passare degli anni Vivian accumulò una quantità di materiale davvero impressionante: centinaia di migliaia di foto e negativi, filmati e registrazioni di conversazioni con i soggetti delle sue foto. 

Il tesoro nascosto di Vivian era conservato in numerosi scatoloni che si trascinava dietro spostandosi, per via del suo lavoro di tata, da una famiglia all’altra. Si parla di centinaia di contenitori, che negli ultimi anni della sua vita (quando Vivian  non era stata più in grado di pagarne il deposito presso un magazzino) sono finiti in vendita in alcune aste locali. 

Il proprietario della maggior parte dell’archivio Vivian Maier è di fatto John Maloof. Agente immobiliare e storico, questi partecipa nel 2007 a un’asta locale, e ha la fortuna di acquistare per soli 380 dollari uno scatolone in cui rinviene circa 30.000 negativi della Maier. Impressionato dalla bellezza di quelle foto anonime, riesce ad avere conferma del loro potenziale valore dopo averne pubblicato alcune su un sito di fotografia.

Maloof attualmente possiede circa 100.000 foto dell’archivio di Vivian, il cui indubbio valore è stato ormai riconosciuto ufficialmente: Vivian Maier viene oggi annoverata tra i più grandi fotografi di strada d’America del XX secolo e il suo lavoro viene presentato in giro per il mondo attraverso mostre, articoli su riviste, documentari. 
La mostra all’Arengario raccoglie 120 fotografie in bianco e nero realizzate tra gli anni Cinquanta e Sessanta, insieme a una selezione di immagini a colori scattate negli anni Settanta, oltre ad alcuni filmati in super 8 che mostrano come Vivian Maier si avvicinasse ai suoi soggetti.

Vivian Maier ritraeva le città dove aveva vissuto – New York e Chicago – con uno sguardo curioso, attratto da piccoli dettagli, dai particolari, dalle imperfezioni, ma anche dai bambini, dagli anziani, dalla vita che le scorreva davanti agli occhi per strada, dalla città e i suoi abitanti in un momento di grande cambiamento sociale e culturale. Immagini potenti, di una folgorante bellezza, quasi tutti scatti assoluti, che rivelano una grande fotografa.

Sono inoltre esposti numerosi autoritratti, dove il suo sguardo austero è riflesso nelle vetrine, nelle pozzanghere, e la sua lunga ombra incombe sul soggetto della fotografia, diventando un tramite per avvicinarsi a questa fotografa che, nella sua vita, non ha mai voluto o potuto condividere i suoi scatti con un pubblico.

La pulsione di Vivian Maier a rimanere invisibile dietro l’obiettivo, le consente, paradossalmente, di stabilire una istantanea relazione con il soggetto fotografato, di cui, grazie alla sua straordinaria abilità, riesce a cogliere in una frazione di secondo le emozioni più profonde.

Gli scatti che più mi hanno colpito di questa fotografa, che scattava solo per se stessa, leggeva libri di fotografia e andava alle mostre per studiare il lavoro di altri fotografi, sono quelli che vengono definiti street photography:  bambini, anziani, emarginati, gente incontrata per caso, attori di Hollywood, di cui coglieva espressioni e dettagli, creando composizioni di una bellezza istintiva, propria di un artista puro. 


































































Capire adesso chi era Vivien Maier sembra quasi impossibile; si può solo intuire il perché, il come e il quando dei suoi scatti. Ma quello che vediamo per certo nelle sue fotografie è l’umanità attenta a cogliere la quotidianità dei suoi simili. E questo ci basta, o almeno a me è bastato, per apprezzare il genio di questa fotografa enigmatica.

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