Un racconto da leggere
a Natale
Domenica 15 gennaio, 2017 è stata una giornata speciale
in quel di Mariano Comense; ho conosciuto la ONLUS Penna Nera che si occupa di
ragazzi disabili e della loro integrazione, ho assistito all’esibizione dei giovani
talenti musicali dell’orchestra La FlautoMagico e ho partecipato alla finale e
premiazione del Concorso Un racconto da
leggere a Natale classificandomi al secondo posto nella sezione adulti
(ahimè quella dedicata ai giovani si fermava purtroppo a soli 35 anni…).
Un pomeriggio piacevole con tanta simpatia e umanità; un
presidente inossidabile, un presentatore ispirato, concorrenti dalle penne ben
affilate, un pubblico partecipe e tanta emozione (non so se si vede dalle foto
pubblicate su il quotidiano La Provincia di Lecco, Como e Sondrio, ma un lieve
tremolio alle mani c’era!).
Una bella esperienza che rivivrà sempre tra le righe di
questo racconto, che spero vi trasmetta le stesse emozioni che ho provato
scrivendolo.
Un grazie speciale ad Andrea (lui sa perché!).
Sarà un bel Natale
Ho otto anni e mi piace
guardare la neve che scende, in fiocchi soffici e leggeri, che si sciolgono sui
vetri della finestra. Era bello quando avevamo una casa con tante stanze e
tante finestre. Adesso viviamo in un Map. La chiamano così quella casetta
prefabbricata di legno in cui siamo andati ad abitare, dopo che la terra si è
messa a tremare, dopo che la nostra casa, nel centro del paese, si è
sbriciolata sotto i nostri piedi.
Ricordo che la camera dove
dormivamo io e mia sorella Cecilia ha preso a sobbalzare nel cuore della notte,
le pareti si sono aperte come colpite da un enorme bulldozer e, all’improvviso,
il pavimento è sprofondato e siamo precipitati in cucina al pianterreno.
Cecilia piangeva forte e io cercavo di stringerle la mano, ma non ci riuscivo
perché tra di noi c’era una grossa trave caduta dal soffitto. Tutt’intorno era
buio e facevo fatica a respirare per i calcinacci che mi coprivano. Ho provato
a gridare, ma nessuno ci sentiva e Cecilia, a un certo punto, ha smesso di
piangere anche se la chiamavo forte. Poi ho chiuso gli occhi e ho pensato che
avrei dormito un po’, ma solo per riposare.
E invece mi hanno detto che ho
dormito tanto, quasi un giorno intero. Me l’hanno detto gli uomini con le tute
gialle che ci sono venuti a cercare col loro cane: Benny, un pastore tedesco
dal pelo marrone e le orecchie nere. Benny è molto brava, le basta annusare
l’aria per capire se ci sono persone vive da salvare, e gli uomini con le tute
gialle la seguivano e scavavano con le mani dove Benny si fermava e abbaiava. È
così che ci hanno trovati: io, mamma e papà che erano finiti giù in cantina.
Mamma aveva una gamba rotta e papà la spalla, tre costole e un taglio sulla testa. Cecilia l’hanno trovata il giorno dopo. Benny continuava ad
abbaiare e a scodinzolare, ma gli uomini non riuscivano a vederla. Cecilia è
sempre stata piccola e magra, e a volte tornava da scuola piangendo perché
qualche compagno più grande la prendeva in giro. Era infilata sotto la trave che
ci aveva diviso, ecco perché non la vedevano. Quando l’hanno tirata fuori,
piano piano per non farle male, Benny le si è avvicinata per leccarle il viso
che era tutto sporco di terra. L’hanno messa su una barella e l’hanno portata
all’ospedale, ma in un reparto diverso da quello dove stavamo io, mamma e papà.
Poi è successo che il cuore di
Cecilia era troppo stanco e lei era debole per la fatica che aveva fatto a
stare sotto quella grossa trave. Così anche lei ha chiuso gli occhi per
dormire, ma il suo angelo custode ha deciso di portarla via con sé e adesso
anche lei sta in cielo, con nonno Piero e nonna Rosa e da lassù ci guardano e
ci proteggono. Così mi dice la mamma quando recitiamo insieme le preghiere
della sera, ma io vedo che i suoi occhi diventano lucidi e lei si fa in fretta
il segno della croce e corre subito a chiudersi nella sua stanza. Ogni tanto la
sento piangere, non forte come Cecilia, più basso come un lamento, ma la
mattina dopo mi sveglia con un sorriso e mi dice che la colazione è pronta.
Ho otto anni e mi piace guardare
la neve che scende, in fiocchi soffici e leggeri, che si sciolgono sui vetri
della finestra. Anche la mia scuola è
caduta quando la terra si è messa a tremare. La mia classe era la terza D,
l’ultima in fondo al corridoio che non c’è più. È ancora la mia classe, anche
se adesso la scuola è fatta di tante casette colorate, bianche, rosse, gialle e blu, con intorno
giochi e altalene in mezzo al campo sportivo dove una volta andavo a giocare a
pallone. La maestra è sempre la stessa e c’è anche la campanella che suona per
farci entrare e uscire.
Solo che non abbiamo più i
vecchi banchi, dove avevamo scritto di nascosto i nostri nomi, ma tavoli nuovi
e puliti. E libri, quaderni, matite colorate e tanti peluche; ce li hanno
regalato altri bambini che stanno in altre scuole e che hanno pensato a noi. E
facciamo tutti i giorni disegni da appendere alle pareti vuote, con parole
scritte a pennarello: amore, pace, felicità, allegria, sorrisi, amici. Solo che qualcuno dei miei compagni non c’è
più; è andato a trovare Cecilia e adesso sono sicuro che giocano insieme e non
la scherzano più.
Ho otto anni e mi piace guardare
la neve che scende, in fiocchi soffici e leggeri, che si sciolgono sui vetri
della finestra. Tra pochi giorni sarà
Natale: mamma e papà mi hanno domandato che dono vorrei e io ho risposto che ci
devo pensare. Non è facile chiedere un regalo a Natale, quando ti mancano tante
cose. Una casa con tante stanze e tante finestre, una scuola coi vecchi banchi
col tuo nome scritto sopra, i compagni di giochi e Cecilia. Dovrà essere un
regalo molto speciale, per non sprecare un desiderio, per tornare di nuovo ad
amare il Natale. Papà ha portato a casa un piccolo abete e l’ha messo in un
vaso in cucina. Mamma ci ha appeso dei nastri e dei biscotti che ci hanno dato
le signore che preparano i pasti sotto al tendone. La maestra mi ha detto che
quest’anno farò San Giuseppe nella recita di Natale, ma non sono ancora riuscito a trovare il mio
regalo speciale.
La neve cade, in fiocchi soffici e leggeri, e copre ogni cosa di
bianco. Manca solo un giorno a Natale e oggi gli uomini con le tute
gialle mi hanno portato da Benny. Lei stava sdraiata per terra e quando mi ha
visto ha cominciato ad abbaiare. Io mi sono avvicinato e lei mi ha leccato la
mano. C’erano tanti cuccioli intorno a
lei, col pelo marrone e le orecchie nere. Solo uno aveva le orecchie bianche
come la neve. Un uomo con la tuta gialla me l’ha messo in braccio e io ho
sentito sul petto il suo calore che mi scaldava il cuore. L’ho stretto forte e
l’ho portato a casa. L’ho chiamato Fiocco, come diceva Cecilia quando guardava
cadere la neve insieme a me.
Ho otto anni e ho trovato il
mio regalo speciale. Adesso lo so, sarà un bel Natale!
Con le lacrime dico bella! Una storia molto commovente. Complimenti Daniela 💜
RispondiEliminaGrazie, Maria Rita, sono molto contenta ti abbia emozionato !
RispondiEliminaCommovente e, purtroppo, attuale :-(
RispondiEliminaComplimenti per il racconto, complimenti per il risultato al premio letterario! Brava brava brava :-)
Grazie, grazie, grazie, Stefi! Sempre un po' giapponese nei ringraziamenti, ma sempre di cuore :-)
RispondiEliminaArigato ;-)
RispondiEliminaSenza parole, ma con un luccichio che accarezza la superficie dell'iride, velando lo scorrere di immagini che fanno tremare il battito del cuore, con fiocchi di neve che si posano sul gelido dolore. Splendido racconto. Complimenti.
RispondiEliminaGrazie, Juli! Un commento che è una poesia; così il mio racconto sembra ancora più bello :-)
RispondiEliminaCommovente e bello. Come sempre brava.
RispondiEliminaGrazie, Dani per il tuo apprezzamento sempre così attento!
RispondiElimina