giovedì 21 dicembre 2017

Dani #16: Il villaggio Piccolo Piccolo


                             
Cosa fa più Natale di una fiaba? Niente, ovviamente :-) Io ve l'avevo promessa, ed ora eccola qui! Direttamente dal bellissimo blog https://letturedikatja.wordpress.com di Katja Macondo che l'ha recentemente ospitato e che vi invito a visitare!, vi presento il mio ultimo racconto per grandi e piccini. Una storia che parla di donne e del loro rapporto con la Natura, di magia ed ecologia. Una fiaba in cui perdersi per ritrovarsi magari un po' più felici!

                                     Il villaggio Piccolo Piccolo  
                        Una fiaba di Daniela Quadri

Molto tempo fa, in quella parte di mondo che si stendeva tra le montagne Sempre Innevate e le Grandi Pianure Verdi, sorgeva un villaggio così piccolo che le case si contavano sulle dita di una mano e gli abitanti su due.  Ma la cosa più speciale di questo villaggio erano le donne perché tutte - giovani e vecchie, brune e bionde, alte e basse - possedevano un dono; capivano il linguaggio degli animali.

Così gli abitanti dei paesi vicini mandavano a chiamare le donne del villaggio Piccolo Piccolo quando le loro bestie stavano male o dovevano partorire, e le donne erano talmente brave che da più di cent’anni nessun animale – cane o gatto, mucca o cavallo, pecora o maiale - era più morto di malattia.  

Questo dono era un segreto tramandato di madre in figlia da mille generazioni. Niente che si potesse studiare sui libri di scuola o imparare a memoria come una filastrocca. Non c’erano formule magiche o pozioni da preparare nel calderone bollente. Non si poteva vedere né toccare, ma solo sentire col cuore.

Alle donne bastava andare nei boschi di querce o sulle rive del fiume che scorreva veloce a valle e restare in silenzio ad ascoltare; quando il silenzio si riempiva dei richiami degli uccelli e della voce argentina dell’acqua, allora le loro orecchie si aprivano e riuscivano a comprendere quello che gli animali dicevano.



La storia avrebbe potuto terminare qui, se non fosse che gli uomini non sono tutti uguali e quelli che abitavano nei villaggi di vetro e cemento nella Terra delle Città presero a ribellarsi alla Natura e a farle molti dispetti, abbattendo le foreste, avvelenando l’aria e inquinando il grande Oceano Blu.

Fu così che la Natura ci restò molto male, smise di sorridere agli uomini e trasformò le stagioni. Adesso succedeva sempre più spesso che la pioggia cadesse per settimane proprio quando doveva splendere il sole, o che ci fosse il sole quando i campi avevano bisogno d’acqua e gli animali non trovavano più un filo d’erba nei pascoli.

Gli abitanti della Terra delle Città sembravano diventati improvvisamente ciechi e sordi. Non si accorgevano che i nidi delle rondini sotto i tetti erano ormai  vuoti da anni, che nei boschi non risuonavano più i colpi di becco dei picchi, e che le lucciole avevano smesso di brillare tra i cespugli nelle calde notti d’estate. Non capivano perché tutto ciò stesse accadendo, e forse nemmeno gli importava.



Molti anni prima c’era stata una grandissima carestia, la peggiore che fosse mai stata registrata dai Vecchi Saggi nel Libro della Memoria custodito nella biblioteca del villaggio Piccolo Piccolo. Tutti i granai si erano svuotati e anche le donne del villaggio avevano dovuto abbandonare le case, i boschi e le rive del fiume per seguire gli uomini nella Terra delle Città in cerca di pane, lavoro e un futuro per i loro figli.

Se ne erano andate tutte, tranne una: nonna Felicina che era rimasta nella casa dove era nata, e dove le piaceva veder sorgere e calare il sole. Nonna Felicina, in verità, era stata una gran testarda fin da bambina, quando si nascondeva per ore nella stalla a chiacchierare con le mucche anziché fare i compiti. Quante sgridate si era presa! Nessuno era mai riuscito a farle cambiare idea nemmeno una volta nella vita. Ci aveva provato persino Gioacchino, il più anziano tra i Vecchi Saggi, a convincerla a mettere la testa a posto e a smetterla di giocare a fare intrugli miracolosi con le erbe, ma alla fine gli era venuto solo un gran mal di testa e molti fili bianchi in più nella lunga barba. 





E così Nonna Felicina era rimasta da sola nel villaggio Piccolo Piccolo, anche se ormai faceva fatica persino a camminare da tanto le dolevano le povere ossa – è l’artrite reumatoide, le ripeteva sempre il Medico Dottore, ostinandosi a farle bere una medicina tanto amara quanto inutile -, ma per niente al mondo lei avrebbe abbandonato i suoi amici animali.

Quel giorno Nonna Felicina stava salendo su per il sentiero che portava alla stalla del fattore di un paese vicino; l’aveva mandata a chiamare perché la sua giumenta stava per partorire e sembrava in difficoltà.

Nonna Felicina si muoveva piano, appoggiandosi a un bastone ancora più vecchio e curvo di lei e, ogni tanto, alzava lo sguardo al cielo ad annusare l’aria, proprio come gli animali del bosco che sentono l’avvicinarsi della pioggia a seconda di come spira il vento. Le ossa le facevano ancora più male del solito, ma un sorriso le illuminava il viso ricamato di rughe sottili; il tempo stava cambiando e un rombo sordo che si avvicinava dalle Montagne Sempre Innevate annunciò che era in arrivo un temporale.



Non pioveva ormai da più di quaranta giorni e molti animali erano morti negli incendi che avevano distrutto alberi e cibo. Lei aveva cercato di aiutarli come poteva: curandoli, sfamandoli e accompagnandoli con una carezza nel loro ultimo viaggio.

Le luci erano ancora accese nella stalla, la notte era stata lunga. Nonna Felicina spinse a fatica la pesante porta di legno della stalla ed entrò. Sdraiata sulla paglia una giumenta, col manto lucido di sudore e gli occhi febbricitanti, la riconobbe e nitrì sonoramente.

«Aiutami!» La implorò e Nonna Felicina si inginocchiò accanto a lei, sussurrandole all’orecchio parole misteriose di conforto. La cavalla scosse forte la criniera, diede un gran colpo di reni e, in pochi istanti, un puledrino color cioccolato si rotolava vispo nella paglia.

Nonna Felicina si rialzò a fatica aiutandosi col bastone e stava per andarsene quando, all’improvviso, dall’ombra sbucò una bambina: esile come un giunco che neanche il vento che scende ululando dalle montagne riesce a spezzare, e con due lunghe trecce nere si avvicinò silenziosa al puledrino.

Bastò il tocco delle sue piccole mani che lo accarezzavano leggere come farfalle, perché il puledrino si alzasse sulle quattro zampe e si attaccasse alle mammelle gonfie di latte della madre.



Nonna Felicina chiuse gli occhi stanchi e per un lungo istante rivide se stessa da bambina, quando si nascondeva per ore nella stalla a chiacchierare con le mucche anziché fare i compiti. Sì, si assomigliavano tanto quelle due bambine! Entrambe innamorate della Natura e degli animali, e con una bella testa dura che nessuno sarebbe riuscito a cambiare.

«Lei è proprio come te!» Nitrì la cavalla, mentre leccava orgogliosa il suo piccolo.
«Vieni da me domani, bambina. Mi raccomando non fare tardi: il tempo è l’unica cosa che mi manca» Disse Nonna Felicina sorridendo.

Grossi goccioloni cadevano dal cielo scuro, quando Nonna Felicina uscì dalla stalla. Presto gli incendi si sarebbero spenti, gli animali sarebbero tornati ai loro nidi e alle loro tane, il bosco sarebbe tornato a vivere e la Natura a sorridere di nuovo agli uomini nella Terra delle Città.




 Nonna Felicina ne era sicura perché, finalmente, aveva trovato una bambina a cui consegnare il suo dono: quello che rendeva speciali le donne del villaggio Piccolo Piccolo.


Buone Feste a tutti!

Daniela

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