Cosa fa più Natale di una fiaba? Niente, ovviamente :-) Io ve l'avevo promessa, ed ora eccola qui! Direttamente dal bellissimo blog https://letturedikatja.wordpress.com di Katja Macondo che l'ha recentemente ospitato e che vi invito a visitare!, vi presento il mio ultimo racconto per grandi e piccini. Una storia che parla di donne e del loro rapporto con la Natura, di magia ed ecologia. Una fiaba in cui perdersi per ritrovarsi magari un po' più felici!
Il villaggio Piccolo Piccolo
Una fiaba di Daniela Quadri
Molto
tempo fa, in quella parte di mondo che si stendeva tra le montagne Sempre
Innevate e le Grandi Pianure Verdi, sorgeva un villaggio così piccolo che le
case si contavano sulle dita di una mano e gli abitanti su due. Ma la cosa più speciale di questo villaggio
erano le donne perché tutte - giovani e vecchie, brune e bionde, alte e basse -
possedevano un dono; capivano il linguaggio degli animali.
Così
gli abitanti dei paesi vicini mandavano a chiamare le donne del villaggio
Piccolo Piccolo quando le loro bestie stavano male o dovevano partorire, e le
donne erano talmente brave che da più di cent’anni nessun animale – cane o
gatto, mucca o cavallo, pecora o maiale - era più morto di malattia.
Questo
dono era un segreto tramandato di madre in figlia da mille generazioni. Niente
che si potesse studiare sui libri di scuola o imparare a memoria come una
filastrocca. Non c’erano formule magiche o pozioni da preparare nel calderone
bollente. Non si poteva vedere né toccare, ma solo sentire col cuore.
Alle donne
bastava andare nei boschi di querce o sulle rive del fiume che scorreva veloce
a valle e restare in silenzio ad ascoltare; quando il silenzio si riempiva dei
richiami degli uccelli e della voce argentina dell’acqua, allora le loro
orecchie si aprivano e riuscivano a comprendere quello che gli animali
dicevano.
La
storia avrebbe potuto terminare qui, se non fosse che gli uomini non sono tutti
uguali e quelli che abitavano nei villaggi di vetro e cemento nella Terra delle
Città presero a ribellarsi alla Natura e a farle molti dispetti, abbattendo le
foreste, avvelenando l’aria e inquinando il grande Oceano Blu.
Fu così
che la Natura ci restò molto male, smise di sorridere agli uomini e trasformò le
stagioni. Adesso succedeva sempre più spesso che la pioggia
cadesse per settimane proprio quando doveva splendere il sole, o che ci fosse
il sole quando i campi avevano bisogno d’acqua e gli animali non trovavano più
un filo d’erba nei pascoli.
Gli
abitanti della Terra delle Città sembravano diventati improvvisamente ciechi e
sordi. Non si accorgevano che i nidi delle rondini sotto i tetti erano
ormai vuoti da anni, che nei boschi non
risuonavano più i colpi di becco dei picchi, e che le lucciole avevano smesso
di brillare tra i cespugli nelle calde notti d’estate. Non capivano perché
tutto ciò stesse accadendo, e forse nemmeno gli importava.
Molti
anni prima c’era stata una grandissima carestia, la peggiore che fosse mai
stata registrata dai Vecchi Saggi nel Libro della Memoria custodito nella
biblioteca del villaggio Piccolo Piccolo. Tutti i granai si erano svuotati e anche
le donne del villaggio avevano dovuto abbandonare le case, i boschi e le rive
del fiume per seguire gli uomini nella Terra delle Città in cerca di pane,
lavoro e un futuro per i loro figli.
Se ne
erano andate tutte, tranne una: nonna Felicina che era rimasta nella casa dove
era nata, e dove le piaceva veder sorgere e calare il sole. Nonna
Felicina, in verità, era stata una gran testarda fin da bambina, quando si
nascondeva per ore nella stalla a chiacchierare con le mucche anziché fare i
compiti. Quante sgridate si era presa! Nessuno era mai riuscito a farle
cambiare idea nemmeno una volta nella vita. Ci aveva provato persino Gioacchino,
il più anziano tra i Vecchi Saggi, a convincerla a mettere la testa a posto e a
smetterla di giocare a fare intrugli miracolosi con le erbe, ma alla fine gli
era venuto solo un gran mal di testa e molti fili bianchi in più nella lunga
barba.
E così
Nonna Felicina era rimasta da sola nel villaggio Piccolo Piccolo, anche se
ormai faceva fatica persino a camminare da tanto le dolevano le povere ossa – è
l’artrite reumatoide, le ripeteva sempre il Medico Dottore, ostinandosi a farle
bere una medicina tanto amara quanto inutile -, ma per niente al mondo lei avrebbe
abbandonato i suoi amici animali.
Quel
giorno Nonna Felicina stava salendo su per il sentiero che portava alla stalla
del fattore di un paese vicino; l’aveva mandata a chiamare perché la sua
giumenta stava per partorire e sembrava in difficoltà.
Nonna
Felicina si muoveva piano, appoggiandosi a un bastone ancora più vecchio e
curvo di lei e, ogni tanto, alzava lo sguardo al cielo ad annusare l’aria,
proprio come gli animali del bosco che sentono l’avvicinarsi della pioggia a
seconda di come spira il vento. Le ossa le facevano ancora più male del solito,
ma un sorriso le illuminava il viso ricamato di rughe sottili; il tempo stava
cambiando e un rombo sordo che si avvicinava dalle Montagne Sempre Innevate
annunciò che era in arrivo un temporale.
Non pioveva
ormai da più di quaranta giorni e molti animali erano morti negli incendi che
avevano distrutto alberi e cibo. Lei aveva cercato di aiutarli come poteva:
curandoli, sfamandoli e accompagnandoli con una carezza nel loro ultimo
viaggio.
Le luci
erano ancora accese nella stalla, la notte era stata lunga. Nonna Felicina
spinse a fatica la pesante porta di legno della stalla ed entrò. Sdraiata sulla
paglia una giumenta, col manto lucido di sudore e gli occhi febbricitanti, la
riconobbe e nitrì sonoramente.
«Aiutami!»
La implorò e Nonna Felicina si inginocchiò accanto a lei, sussurrandole
all’orecchio parole misteriose di conforto. La cavalla scosse forte la criniera,
diede un gran colpo di reni e, in pochi istanti, un puledrino color cioccolato si
rotolava vispo nella paglia.
Nonna Felicina
si rialzò a fatica aiutandosi col bastone e stava per andarsene quando, all’improvviso,
dall’ombra sbucò una bambina: esile come un giunco che neanche il vento che
scende ululando dalle montagne riesce a spezzare, e con due lunghe trecce nere
si avvicinò silenziosa al puledrino.
Bastò
il tocco delle sue piccole mani che lo accarezzavano leggere come farfalle, perché
il puledrino si alzasse sulle quattro zampe e si attaccasse alle mammelle
gonfie di latte della madre.
Nonna
Felicina chiuse gli occhi stanchi e per un lungo istante rivide se stessa da
bambina, quando si nascondeva per ore nella stalla a chiacchierare con le
mucche anziché fare i compiti. Sì, si assomigliavano tanto quelle due bambine!
Entrambe innamorate della Natura e degli animali, e con una bella testa dura
che nessuno sarebbe riuscito a cambiare.
«Lei è proprio
come te!» Nitrì la cavalla, mentre leccava orgogliosa il suo piccolo.
«Vieni
da me domani, bambina. Mi raccomando non fare tardi: il tempo è l’unica cosa
che mi manca» Disse Nonna Felicina sorridendo.
Grossi
goccioloni cadevano dal cielo scuro, quando Nonna Felicina uscì dalla stalla. Presto
gli incendi si sarebbero spenti, gli animali sarebbero tornati ai loro nidi e
alle loro tane, il bosco sarebbe tornato a vivere e la Natura a sorridere di
nuovo agli uomini nella Terra delle Città.
Nonna
Felicina ne era sicura perché, finalmente, aveva trovato una bambina a cui consegnare
il suo dono: quello che rendeva speciali le donne del villaggio Piccolo
Piccolo.
Buone Feste a tutti!
Daniela