martedì 7 febbraio 2017

Pagina # 15: La mia Africa


La mia Africa

ovvero emozioni, passioni e nostalgie di un continente che non si fa dimenticare

7  Domande a Paola Casadei

Io e Paola ci siamo conosciute virtualmente l’anno scorso su Internet, come spesso capita quando uno scrittore (io) cerca di dare visibilità al proprio romanzo attraverso un blog di recensioni, e Paola è una collaboratrice di Gli scrittori della porta accanto. Ma non solo; è anche laureata in farmacia all’Università di Bologna, ma forlivese di nascita, scrittrice, viaggiatrice e, soprattutto, innamorata dell’Africa dove ha vissuto molti anni prima di trasferirsi a Montpellier, dove attualmente vive con la sua famiglia. Che Paola fosse profondamente innamorata dell’Africa mi è stato subito chiaro, mentre leggevo il suo romanzo L’elefante è già in valigia: un diario di bordo romanzato delle sue vicissitudini in terra d’Africa. Così come è altrettanto chiaro che dal mal d’Africa non si guarisce, e che la malattia è facilmente trasmissibile.

Ma è meglio lasciare la parola a Paola per scoprire molto di più su questo suo grande amore grazie alle 7 Domande, che questa volta sono diventate 8 ;-).

D.  Benvenuta, Paola! Cosa ti ha spinta ad andare in Africa e, soprattutto, perché poi ci sei rimasta?

R. Non ho meriti nella scelta. Sono partita per amore, ho seguito mio marito che doveva andare per lavoro per pochi anni in Sudafrica, a Pretoria. Lui è ricercatore. I ‘pochi anni’ sono diventati 8 anni, poi c’è stata l’opportunità di trasferirsi per 4 anni in Mozambico e non abbiamo rifiutato.

D. Cosa ti aspettavi di trovare nei paesi africani in cui hai vissuto, Senegal, Sudafrica, Mozambico, e cosa, in realtà, hai trovato? Quali sono le differenze più evidenti, o che ti hanno più colpito, tra questi paesi?

 R. Non mi aspettavo niente all’inizio, perché non sapevo niente. Il Senegal è stata un’esperienza molto corta. Un mese solamente, all’inizio del matrimonio. L’ho considerato come il viaggio di nozze che non avevamo fatto. Ho visitato mercati, assistito a interviste in cui i locali parlavano la loro lingua, il bambarà, una persona traduceva in francese e la successiva in italiano. Incredibile! Del Sudafrica avevo solo sentito dire che era pericoloso vivere là. Il primo giorno mi sono trovata un allarme in casa e una porta blindata d’acciaio per separare la zona giorno dalla zona notte. È stata una grande esperienza, le città, le townships, i parchi con gli animali, la gente, le mama nere, gli Afrikaner che giravano con grosse pistole. Il Mozambico è un paese all’opposto, uno dei paesi più poveri del mondo. Una storia diversa, colonizzati dai Portoghesi, poi con la guerra civile. È molto difficile il rapporto con le persone di là. Paesaggi splendidi e anche bei ricordi, ma è stato molto difficile vivere là. Sono in molti quelli che vogliono approfittarsene di tutti quei poveri davvero poveri e non ci si può fare niente.

D. Un continente ricco di umanità e di contraddizioni; cosa significa per una donna europea vivere in Africa, e confrontarsi ogni giorno con una realtà così diversa e lontana da tutti i nostri schemi mentali, sociali e culturali?

R. Un continente pieno di contraddizioni lo è di certo. Il quotidiano è diverso, i bianchi di solito non si integrano con i locali, né bianchi né neri; l’ambiente della scuola dei figli o del lavoro ti protegge e spesso ti isola proprio dal resto, se lo vuoi. Alcune delle persone che ho conosciuto a Maputo non si sono preoccupate nemmeno di imparare la lingua locale, il portoghese. Difficile da immaginare. Però, nonostante i rischi noti, la criminalità e i pericoli, gli allarmi in casa, la povertà intorno, la vita là può essere molto stimolante. 



D. Una cosa che mi aveva sorpresa leggendo L’elefante è già in valigia era stato un tuo riferimento allo stupro di massa delle donne durante la guerra in Bosnia, proprio perché questa era una delle tematiche del mio romanzo Le stelle di Srebrenica. Ma il fatto più sconcertante erano le statistiche sugli stupri in Africa. Ci vuoi accennare qualcosa sulla situazione delle donne e dei bambini e, non dico suggerire una soluzione, ma spiegarci cosa, secondo te, si potrebbe fare per migliorare la loro condizione?

R. È vero. Una frase era questa: “Da sempre la violenza contro le donne si accompagna alle guerre degli uomini. Perfino in Bosnia, dove i Serbi avevano organizzato “rape camp” per mettere incinta le donne musulmane. Una forma di pulizia etnica attraverso le nascite. Oggi il Congo ha il primato di capitale mondiale degli abusi sessuali. Succede spesso che le stesse donne siano violentate più volte.”
Poi continuava su quello che Carlotta aveva scoperto su Internet. Parlavo di uno studio letto. Non posso pronunciarmi con giudizi o altro, non sono un’esperta di Africa e il problema è troppo scottante. Ho fatto raccontare certe cose proprio a Carlotta perché le volevo lasciare viste dagli occhi di un’adolescente e non di un adulto.

D. L’Africa è una magia di colori, profumi, spezie e, perché no?, ricette esotiche. Ce ne daresti una da portare sulle nostre tavole, magari raccontandoci il ricordo speciale a cui è legata?

R. Ho ricordi molto belli e un gusto che non ho mai dimenticato dei cibi locali. Quello che ripeto più spesso a casa è questo: il rougail saucisse, un piatto creolo sperimentato la prima volta all’Isola della Reunion.

Ingredienti:
1 kg di salsiccia tipo chourizo o salsiccia affumicata
2 cucchiai olio d’oliva extra vergine
2 cipolle tritate
1 spicchio d’aglio
1 pezzo, circa 4-5 cm di zenzero grattugiato (2 g se in polvere)
2 rametti di timo
1 grosso cucchiaino di curcuma, o turmeric (o zafferano)
500 g pomodori San Marzano, pelati e ben maturi 
peperoncino fresco senza semi, a volontà
10 foglie di cerfoglio
E se possibile un bel pezzetto di scorza di combava
Sale e pepe

Preparazione:
Fare bollire in acqua le salsicce già tagliate in 3 pezzi ciascuna per 5-10 minuti, per eliminare una buona parte del grasso e del sale. Sciacquare e sgocciolare. 
Rosolare le salsicce in padella e mettere da parte.
Rosolare le cipolle, aggiungere l’aglio, poi la curcuma, e lasciare 30 secondi per permettere agli aromi di svilupparsi bene. Aggiungere le salsicce e lasciare un minuto. Aggiungere i pomodori, il timo, sale e pepe, e un bel pezzo di zenzero, il cui aroma si perde con la cottura. Lasciare ridurre per 15 minuti a fuoco medio. Aggiungere lo zafferano e continuare la cottura a fuoco dolce finché il liquido sia evaporato e il rougail sia ben legato.

Servire con gli accompagnamenti (Giulia lo serve con un gran piatto di riso bianco a chicchi lunghi, tipo basmati, cotto al vapore, quindi un piatto di grains, lenticchie e fagioli, e un rougail di pomodoro, questa volta a base di pomodoro crudo tagliato a dadini, a cui aggiunge cipolla tagliata a dadini e peperoncino. Risulta molto fresco accanto a un piatto così ricco). Provare per credere!

D. Un’immagine dell’Africa che resterà per sempre nei tuoi occhi; anzi facciamo due, una emozionante e l’altra struggente.

R. Un’immagine emozionante: il primo safari. Nello stesso giorno due giovani leoni hanno annusato la ruota dell’auto su cui ero con mio marito, due elefanti si sono battuti a meno di 20 metri da noi, un rinoceronte ci ha attraversato la strada. Le riprese con la telecamera sono molto buffe perché avevo un respiro molto agitato e tremavo un po’.

Un’immagine struggente: la “maid” che è stata con noi per 8 anni, Elizabeth, portava sulle spalle la mia bambina che aveva 2-3 anni. Loro legano i bambini con una coperta, o un grosso tessuto di cotone e con un bambino così stretto a sé possono fare davvero di tutto. Un giorno ha tenuto compagnia a mia figlia in quel modo dopo avermi raccontato che la sua nipotina di 2 anni era appena morta: lei non sapeva bene e ha detto che non smetteva mai di tossire. In realtà era AIDS.



D.  Qualche curiosità da regalarci sul tuo libro L'Elefante è già in Valigia?

R. Il Sudafrica è un paese straordinario! Non mi è stato difficile mettermi nei panni di un bambino e di una ragazzina per raccontare certe emozioni: impazzivo vedendo un leone o un elefante nella savana! I safari, le balene e lo squalo bianco fanno tornare tutti bambini.
Il cassetto di Carlotta è in realtà il mio cassetto: ho collezionato articoli di giornale quando abitavo a Pretoria. Si leggevano notizie incredibili! 
L’adozione di Giacomo raccontata in modo semplice è tutta vera. Un’amica ha adottato una bimba e me l’ha raccontata proprio così. Dopo è diventato molto più complicato.
Anche il racconto di Christel, rimasta orfana, è vero: la mia migliore amica di quando stavo a Pretoria ha perso il marito ed è dovuta ripartire per la Francia in pochi giorni. Per anni non ci siamo più viste, poi una delle figlie è venuta per due anni a fare degli studi qui a Montpellier, e ben 4 bambini della scuola francese hanno avuto occasione di ritrovarsi qua. E’ stata una grande festa per tutti, mamme comprese.



D. E per concludere la nostra intervista: cosa ha donato l’Africa a Paola che nessun altro continente potrà mai darle, e cosa ha lasciato Paola in Africa che non potrà mai più riavere ?

R. L’Africa mi ha dato tanto. Sono stati gli anni dell’infanzia dei miei figli. Dodici anni sono una bella fetta di vita. Mi ha dato un’apertura di spirito enorme e tante amicizie con persone di tanti Paesi diversi che cerco di mantenere: Haiti, Russia, Argentina, Australia, Belgio, Sudafrica...
Cosa ho lasciato? Tutto quello che ho cercato di fissare sulle foto, colori odori e sapori, amicizie ed esperienze uniche, ma anche tante difficoltà di cui non parlo mai. 

Grazie, Paola, per aver condiviso i tuoi meravigliosi ricordi, con l’augurio di poter presto leggerne altri in un tuo prossimo romanzo!


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