ovvero emozioni, passioni e nostalgie di un continente che
non si fa dimenticare
7 Domande a Paola
Casadei
Io e Paola ci siamo conosciute virtualmente l’anno scorso su
Internet, come spesso capita quando uno scrittore (io) cerca di dare visibilità
al proprio romanzo attraverso un blog di recensioni, e Paola è una
collaboratrice di Gli scrittori della porta accanto. Ma non solo; è anche
laureata in farmacia all’Università di Bologna, ma forlivese di nascita,
scrittrice, viaggiatrice e, soprattutto, innamorata dell’Africa dove ha vissuto
molti anni prima di trasferirsi a Montpellier, dove attualmente vive con la sua
famiglia. Che Paola fosse profondamente innamorata dell’Africa mi è stato
subito chiaro, mentre leggevo il suo romanzo L’elefante è già in valigia: un
diario di bordo romanzato delle sue vicissitudini in terra d’Africa. Così come
è altrettanto chiaro che dal mal d’Africa non si guarisce, e che la malattia è facilmente
trasmissibile.
Ma è meglio lasciare la parola a Paola per scoprire molto di
più su questo suo grande amore grazie alle 7 Domande, che questa volta sono diventate 8 ;-).
D. Benvenuta, Paola!
Cosa ti ha spinta ad andare in Africa e, soprattutto, perché poi ci sei rimasta?
R. Non ho meriti nella scelta. Sono partita per amore, ho
seguito mio marito che doveva andare per lavoro per pochi anni in Sudafrica, a
Pretoria. Lui è ricercatore. I ‘pochi anni’ sono diventati 8 anni, poi c’è
stata l’opportunità di trasferirsi per 4 anni in Mozambico e non abbiamo
rifiutato.
D. Cosa ti aspettavi di trovare nei paesi africani in cui
hai vissuto, Senegal, Sudafrica, Mozambico, e cosa, in realtà, hai trovato?
Quali sono le differenze più evidenti, o che ti hanno più colpito, tra questi paesi?
R. Non mi aspettavo niente all’inizio, perché non sapevo
niente. Il Senegal è stata un’esperienza molto corta. Un mese solamente,
all’inizio del matrimonio. L’ho considerato come il viaggio di nozze che non
avevamo fatto. Ho visitato mercati, assistito a interviste in cui i locali
parlavano la loro lingua, il bambarà, una persona traduceva in francese e la
successiva in italiano. Incredibile! Del Sudafrica avevo solo sentito dire che
era pericoloso vivere là. Il primo giorno mi sono trovata un allarme in casa e
una porta blindata d’acciaio per separare la zona giorno dalla zona notte. È
stata una grande esperienza, le città, le townships, i parchi con gli animali,
la gente, le mama nere, gli Afrikaner che giravano con grosse pistole. Il
Mozambico è un paese all’opposto, uno dei paesi più poveri del mondo. Una
storia diversa, colonizzati dai Portoghesi, poi con la guerra civile. È molto
difficile il rapporto con le persone di là. Paesaggi splendidi e anche bei
ricordi, ma è stato molto difficile vivere là. Sono in molti quelli che
vogliono approfittarsene di tutti quei poveri davvero poveri e non ci si può
fare niente.
D. Un continente ricco di umanità e di contraddizioni; cosa
significa per una donna europea vivere in Africa, e confrontarsi ogni giorno
con una realtà così diversa e lontana da tutti i nostri schemi mentali, sociali
e culturali?
R. Un continente pieno di contraddizioni lo è di certo. Il
quotidiano è diverso, i bianchi di solito non si integrano con i locali, né
bianchi né neri; l’ambiente della scuola dei figli o del lavoro ti protegge e
spesso ti isola proprio dal resto, se lo vuoi. Alcune delle persone che ho
conosciuto a Maputo non si sono preoccupate nemmeno di imparare la lingua
locale, il portoghese. Difficile da immaginare. Però, nonostante i rischi noti,
la criminalità e i pericoli, gli allarmi in casa, la povertà intorno, la vita
là può essere molto stimolante.
D. Una cosa che mi aveva sorpresa leggendo L’elefante è già
in valigia era stato un tuo riferimento allo stupro di massa delle donne
durante la guerra in Bosnia, proprio perché questa era una delle tematiche del
mio romanzo Le stelle di Srebrenica. Ma il fatto più sconcertante erano le
statistiche sugli stupri in Africa. Ci vuoi accennare qualcosa sulla situazione
delle donne e dei bambini e, non dico suggerire una soluzione, ma spiegarci
cosa, secondo te, si potrebbe fare per migliorare la loro condizione?
R. È vero. Una frase era questa: “Da sempre la violenza
contro le donne si accompagna alle guerre degli uomini. Perfino in Bosnia, dove
i Serbi avevano organizzato “rape camp” per mettere incinta le donne musulmane.
Una forma di pulizia etnica attraverso le nascite. Oggi il Congo ha il primato
di capitale mondiale degli abusi sessuali. Succede spesso che le stesse donne
siano violentate più volte.”
Poi continuava su quello che Carlotta aveva scoperto su
Internet. Parlavo di uno studio letto. Non posso pronunciarmi con giudizi o
altro, non sono un’esperta di Africa e il problema è troppo scottante. Ho fatto
raccontare certe cose proprio a Carlotta perché le volevo lasciare viste dagli
occhi di un’adolescente e non di un adulto.
D. L’Africa è una magia di colori, profumi, spezie e, perché
no?, ricette esotiche. Ce ne daresti una da portare sulle nostre tavole, magari
raccontandoci il ricordo speciale a cui è legata?
R. Ho ricordi molto belli e un gusto che non ho mai
dimenticato dei cibi locali. Quello che ripeto più spesso a casa è questo: il
rougail saucisse, un piatto creolo sperimentato la prima volta all’Isola della Reunion.
Ingredienti:
1 kg di salsiccia tipo chourizo o salsiccia affumicata
2 cucchiai olio d’oliva extra vergine
2 cipolle tritate
1 spicchio d’aglio
1 pezzo, circa 4-5 cm di zenzero grattugiato (2 g se in
polvere)
2 rametti di timo
1 grosso cucchiaino di curcuma, o turmeric (o zafferano)
500 g pomodori San Marzano, pelati e ben maturi
peperoncino fresco senza semi, a volontà
10 foglie di cerfoglio
E se possibile un bel pezzetto di scorza di combava
Sale e pepe
Preparazione:
Fare bollire in acqua le salsicce già tagliate in 3 pezzi
ciascuna per 5-10 minuti, per eliminare una buona parte del grasso e del sale.
Sciacquare e sgocciolare.
Rosolare le salsicce in padella e mettere da parte.
Rosolare le cipolle, aggiungere l’aglio, poi la curcuma, e
lasciare 30 secondi per permettere agli aromi di svilupparsi bene. Aggiungere
le salsicce e lasciare un minuto. Aggiungere i pomodori, il timo, sale e pepe,
e un bel pezzo di zenzero, il cui aroma si perde con la cottura. Lasciare
ridurre per 15 minuti a fuoco medio. Aggiungere lo zafferano e continuare la
cottura a fuoco dolce finché il liquido sia evaporato e il rougail sia ben
legato.
Servire con gli accompagnamenti (Giulia lo serve con un gran
piatto di riso bianco a chicchi lunghi, tipo basmati, cotto al vapore, quindi
un piatto di grains, lenticchie e fagioli, e un rougail di pomodoro, questa
volta a base di pomodoro crudo tagliato a dadini, a cui aggiunge cipolla
tagliata a dadini e peperoncino. Risulta molto fresco accanto a un piatto così
ricco). Provare per credere!
D. Un’immagine dell’Africa che resterà per sempre nei tuoi
occhi; anzi facciamo due, una emozionante e l’altra struggente.
R. Un’immagine emozionante: il primo safari. Nello stesso
giorno due giovani leoni hanno annusato la ruota dell’auto su cui ero con mio
marito, due elefanti si sono battuti a meno di 20 metri da noi, un rinoceronte
ci ha attraversato la strada. Le riprese con la telecamera sono molto buffe
perché avevo un respiro molto agitato e tremavo un po’.
Un’immagine struggente: la “maid” che è stata con noi per 8
anni, Elizabeth, portava sulle spalle la mia bambina che aveva 2-3 anni. Loro
legano i bambini con una coperta, o un grosso tessuto di cotone e con un
bambino così stretto a sé possono fare davvero di tutto. Un giorno ha tenuto
compagnia a mia figlia in quel modo dopo avermi raccontato che la sua nipotina
di 2 anni era appena morta: lei non sapeva bene e ha detto che non smetteva mai
di tossire. In realtà era AIDS.
D. Qualche curiosità
da regalarci sul tuo libro L'Elefante è già in Valigia?
R. Il Sudafrica è un paese straordinario! Non mi è stato
difficile mettermi nei panni di un bambino e di una ragazzina per raccontare
certe emozioni: impazzivo vedendo un leone o un elefante nella savana! I
safari, le balene e lo squalo bianco fanno tornare tutti bambini.
Il cassetto di Carlotta è in realtà il mio cassetto: ho
collezionato articoli di giornale quando abitavo a Pretoria. Si leggevano
notizie incredibili!
L’adozione di Giacomo raccontata in modo semplice è tutta
vera. Un’amica ha adottato una bimba e me l’ha raccontata proprio così. Dopo è
diventato molto più complicato.
Anche il racconto di Christel, rimasta orfana, è vero: la
mia migliore amica di quando stavo a Pretoria ha perso il marito ed è dovuta
ripartire per la Francia in pochi giorni. Per anni non ci siamo più viste, poi
una delle figlie è venuta per due anni a fare degli studi qui a Montpellier, e
ben 4 bambini della scuola francese hanno avuto occasione di ritrovarsi qua. E’
stata una grande festa per tutti, mamme comprese.
D. E per concludere la nostra intervista: cosa ha donato
l’Africa a Paola che nessun altro continente potrà mai darle, e cosa ha
lasciato Paola in Africa che non potrà mai più riavere ?
R. L’Africa mi ha dato tanto. Sono stati gli anni
dell’infanzia dei miei figli. Dodici anni sono una bella fetta di vita. Mi ha
dato un’apertura di spirito enorme e tante amicizie con persone di tanti Paesi
diversi che cerco di mantenere: Haiti, Russia, Argentina, Australia, Belgio,
Sudafrica...
Cosa ho lasciato? Tutto quello che ho cercato di fissare
sulle foto, colori odori e sapori, amicizie ed esperienze uniche, ma anche
tante difficoltà di cui non parlo mai.
Grazie, Paola, per aver condiviso i tuoi meravigliosi
ricordi, con l’augurio di poter presto leggerne altri in un tuo prossimo
romanzo!